Philip K. Dick

Da "Come costruire un universo che non cada a pezzi in due giorni"

 

(…)

Così io mi chiedo, in ciò che scrivo, cosa è reale? Perché siamo incessantemente bombardati da pseudorealtà create da persone molto sofisticate che usano apparecchiature elettroniche molto sofisticate. Io non diffido dei loro motivi; diffido del loro potere. Ne hanno tanto. Ed è un potere stupefacente:.il potere di creare interi universi, universi mentali. Io dovrei saperlo bene: faccio la stessa cosa. Il mio lavoro consiste nel creare universi che facciano da base a un romanzo dopo l’altro. E devo costruirli in modo che non cadano a pezzi nel giro di due giorni. O per lo meno è quello che sperano i miei editori. Comunque, vi svelerò un segreto: a me piace costruire universi che cadono a pezzi. Mi piace vedere che si sfaldano, e mi piace vedere come i personaggi del romanzo affrontano il problema. Nutro un amore segreto per il caos. Dovrebbe essercene di più. Non crediate (e sono mortalmente serio nel dirlo), non date per scontato che ordine e stabilità siano sempre un bene, in una società o in un universo. Il vecchio, il fossilizzato, devono sempre lasciare posto a nuova vita e alla nascita di nuove cose. Prima che le nuove cose nascano, le vecchie devono morire. È un concetto pericoloso, perché ci dice che prima o poi dovremo separarci da buona parte di ciò che ci è familiare. E questo è doloroso, ma fa parte della trama della vita. Se non riusciamo ad adattarci psicologicamente ai cambiamenti, anche noi cominceremo a morire, dentro. Quello che sto dicendo è che oggetti, abitudini, usanze e modi di vita devono morire perché il vero essere umano possa vivere. Ed è il vero essere umano che conta di più, l’organismo vitale ed elastico che può rimbalzare, assorbire, e affrontare le novità.

Ovviamente, è logico che io dica questo, perché abito vicino a Disneyland, dove aggiungono di continuo nuove attrazioni e distruggono le vecchie. Disneyland è un organismo in evoluzione. Per anni hanno tenuto lì il simulacro di Lincoln, e alla fine ha cominciato a morire, e loro, a malincuore, hanno dovuto toglierlo. Il simulacro, come Lincoln stesso, era solo una forma. provvisoria che materia ed energia avevano preso e poi perso Lo stesso è vero per ciascuno di noi, ci piaccia o no.

Il filosofo presocratico Parmenide ha insegnato che le uniche cose reali sono le cose che non cambiano mai. E il filosofo presocratico Eraclito ha insegnato che tutto cambia. Se sovrapponete i due punti di vista, ottenete questa conclusione: nulla è reale. Questa linea di pensiero porta a un’ulteriore, affascinante conseguenza: Parmenide non avrebbe mai potuto esistere perché è invecchiato ed è morto e scomparso, per cui, in base alla sua stessa filosofia, non esisteva. E può darsi che Eraclito avesse ragione, non dimentichiamolo; quindi, se Eraclito aveva ragione, Parmenide è esistito, e quindi, stando alla filosofia di Eraclito, forse Parmenide aveva ragione, dato che Parmenide rispondeva alle condizioni, ai criteri in base ai quali Eraclito giudicava vere le cose.

Vi faccio questo esempio solo per mostrarvi che non appena si comincia a chiedersi cosa sia effettivamente reale, si comincia anche a dire assurdità. All’epoca di Zenone, si rendevano conto di dire assurdità. Zenone dimostrò che il movimento è impossibile (in realtà immaginò solo di averlo dimostrato; gli mancava quella che in gergo tecnico si chiama "teoria dei limiti"). David Hume, il più grande scettico di ogni tempo, una volta notò che un gruppo di scettici, riuniti per proclamare la veracità dello scetticismo come filosofia, finirono poi per andarsene dalla porta invece che dalla finestra. Capisco l’affermazione di Hume: erano soltanto chiacchiere. I solenni filosofi non prendevano sul serio ciò che dicevano.

Ma io ritengo che la questione della definizione del reale sia una questione seria, forse addirittura vitale. E al suo interno, da qualche parte, esiste anche l’altra questione, la definizione dell’autentico essere umano. Perché il bombardamento di pseudorealtà comincia a produrre molto in fretta esseri umani fasulli, spurî, falsi quanto i dati che li stringono d’assedio da ogni lato. Le mie due questioni sono in realtà una sola questione; a questo punto, si fondono. Realtà false creeranno esseri umani falsi. Oppure esseri umani falsi creeranno realtà false e poi le venderanno ad altri esseri umani, trasformandoli, col tempo, in falsificazioni di se stessi. Così finiamo con falsi esseri umani che inventano realtà false e poi le spacciano ad altri esseri umani falsi. È solo una versione molto in grande di Disneyland. Potete godervi la nave pirata o il simulacro di Lincoln o il signor Rospo; potete godervi tutto, ma nessuna di queste cose è vera.

Nello scrivere mi sono talmente interessato ai falsi che alla fine ho elaborato il concetto dei falsi falsi. Ad esempio, a Disneyland ci sono uccelli falsi, dotati di motori elettrici, che quando passa qualcuno emettono gracidii e strilli. Immaginate che una notte tutti noi ci introduciamo a Disneyland con uccelli veri e li sostituiamo a quelli artificiali. Immaginate l’orrore che proverebbero i dirigenti di Disneyland scoprendo il crudele inganno. Uccelli veri! E forse, un giorno, anche ippopotami e leoni veri. Costernazione. Disneyland trasformata da irreale in reale per opera di forze sinistre. E se il Matterhorn diventasse una vera montagna coperta di neve? E se l’intero posto, per un miracolo dei potere e della saggezza di Dio, si trasformasse in un attimo, in un battito di cuore, in qualcosa di perenne? Dovrebbero chiudere.

Nel Timeo di Platone, Dio non crea l’universo, come invece fa il Dio cristiano; semplicemente, un giorno lo trova. È in uno stato di caos totale. Dio si mette all’opera per mutare il caos in ordine. L’idea mi attrae, e l’ho adattata per rispondere alle mie esigenze intellettuali: se il nostro universo fosse iniziato in uno stato di non realtà. come una sorta di illusione, come insegna la religione indù, e Dio, per amore e disponibilità verso di noi, lo stesse lentamente mutando, lentamente e in segreto, in qualcosa di reale?

Non ci accorgeremmo di questa trasformazione, dato che all’inizio non ci siamo accorti che il nostro mondo era un’illusione. Tecnicamente, questa è un’idea gnostica. Lo gnosticismo è una religione che ha abbracciato ebrei, cristiani e pagani per diversi secoli. Io sono stato accusato di avere idee gnostiche. Probabilmente è vero. In altri tempi mi avrebbero mandato al rogo. Però alcune delle loro idee mi affascinano. Una volta, mentre compivo ricerche sullo gnosticismo sull’Enciclopedia Britannica, mi imbattei nella citazione di un codice gnostico intitolato Il Dio irreale e gli aspetti del suo, universo inesistente, un’idea che mi fece scoppiare in una risata irresistibile. Che razza di persona può scrivere di qualcosa che sa essere inesistente, e com’è possibile che qualcosa che non esiste abbia aspetti? Poi mi resi conto che da più di 25 anni scrivevo sullo stesso tema. Probabilmente si può parlare parecchio, quando si scrive di, un argomento che non esiste. Una volta un mio amico pubblicò un libro che si intitolava Serpenti delle Hawaii. Molte biblioteche gli scrissero per ordinarne copie. Il fatto è che alle Hawaii non esistono serpenti. Le pagine del libro erano tutte bianche.

Ovviamente, in fantascienza nessuno finge che i mondi che vengono descritti siano reali. È per questo che parliamo di fiction. Il lettore è preavvertito di non credere a ciò che leggerà. È altrettanto vero che i visitatori di Disneyland sanno che il signor Rospo non esiste e che i pirati sono animati da motori e meccanismi, relé e circuiti elettronici. Quindi non c’è inganno.

Eppure, lo strano è che in un certo senso, un senso piuttosto vero, molto di ciò che appare sotto l’etichetta di fantascienza è vero. Immagino che probabilmente non sia vero alla lettera. Non siamo mai stati invasi da creature di un altro sistema stellare, come ci racconta Incontri ravvicinati del terzo tipo. Chi ha prodotto quel film non ha mai voluto farcelo credere. Oppure sì?

E, cosa più importante, se intendevano dire una cosa del genere, è vera? È questo il punto. Non si tratta di decidere se l’autore o il produttore ci credano, ma se sia vero. Perché, per puro caso, nella continua ricerca di un buon soggetto, uno scrittore di fantascienza o un produttore o uno sceneggiatore potrebbero imbattersi nella verità, e rendersene conto solo più tardi.

Lo strumento di base per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se puoi controllare il significato delle parole puoi controllare le persone che devono usare le parole. George Orwell lo ha chiarito nel suo romanzo 1984. Ma un altro modo per controllare le menti delle persone è controllare le loro percezioni. Se riesci a far vedere agli altri il mondo come lo vedi tu, gli altri la penseranno come te. Al percepire segue il capire. Ma come si fa a fare in modo che gli altri vedano la realtà che vedi tu? Dopo tutto, è soltanto una realtà fra molte. L’ingrediente di base sono le immagini. Ecco perché il potere della televisione di influenzare giovani menti è così incredibilmente grande. Immagini e parole sono sincronizzate. La possibilità del controllo totale sullo spettatore esiste, specialmente se lo spettatore giovane. Guardare la tivù è una specie di apprendimento nel sonno. L’elettroencefalogramma di una persona che guarda la televisione mostra che dopo mezz’ora circa il cervello decide che non sta succedendo nulla ed entra in stato semi-ipnotico, emettendo onde alfa. Questo accade perché i movimenti degli occhi sono minimi. Inoltre, la maggior parte delle informazioni sono visive e quindi passano nell’emisfero destro del cervello senza essere analizzate da quello sinistro, dove ha sede la personalità cosciente. Esperimenti recenti indicano che molto di ciò che vediamo in televisione viene ricevuto su base subliminale. Ci limitiamo a immaginare di vedere coscientemente quello che succede. Il succo del messaggio sfugge alla nostra attenzione; letteralmente, dopo qualche ora davanti alla tivù, non sappiamo più cosa abbiamo visto. I nostri ricordi sono spuri, come i ricordi dei sogni; gli spazi vuoti vengono riempiti in retrospettiva. E falsificati. Senza saperlo, abbiamo partecipato alla creazione di una realtà spuria, di cui poi, obbedienti, ci siamo nutriti. Siamo diventati complici della nostra distruzione.

E (lo dico come scrittore professionista di fantascienza) produttori, sceneggiatori e registi che creano questi mondi video/audio non sanno fino a che punto i loro contenuti sono veri. In altre parole, sono vittime del loro stesso prodotto, come noi. Parlando per me stesso, non so quanto di ciò che scrivo sia vero, o quali parti siano vere (ammesso che qualche parte lo sia). È una situazione potenzialmente letale. Abbiamo una finzione che scimmiotta la realtà, e una realtà che scimmiotta la finzione. Abbiamo una sovrapposizione pericolosa, una confusione pericolosa, che, con ogni probabilità, non è voluta. Anzi, questo fa parte del problema. Non si può ordinare per legge a un autore di mettere etichette esatte sul suo prodotto, come fosse un budino in scatola che deve riportare tutti gli ingredienti. Non lo si può costringere a dichiarare quali parti sono vere e quali no, se lui stesso non lo sa.

È un’esperienza inquietante scrivere qualcosa in un romanzo, credere che sia pura finzione, e più tardi, magari anni dopo, scoprire che è vero. Vorrei farvi un esempio. È qualcosa che non capisco. Forse voi riuscirete a escogitare una teoria. Io non ci riesco.

Nel 1970 scrissi un romanzo che si intitolava Flow My Tears, the Policeman Said (Episodio temporale). Uno dei personaggi è una ragazza di 19 anni che si chiama Kathy. Suo marito si chiama Jack. Kathy sembra lavorare per il mondo del crimine, ma in seguito, addentrandoci nel romanzo, scopriamo che in effetti lavora per la polizia. Ha una relazione con un ispettore di polizia. È un personaggio puramente immaginario. O almeno così credevo.

Nel Natale del 1970 ho conosciuto una ragazza che si chiamava Kathy. Successe dopo che avevo terminato il romanzo, sia chiaro. Kathy aveva 19 anni. Il suo ragazzo si chiamava Jack. Seppi subito che Kathy era una spacciatrice di droga. Per mesi cercai di convincerla a smettere di spacciare; continuai a ripeterle che prima o poi l’avrebbero presa. Poi, una sera, mentre stavamo andando assieme al ristorante, Kathy si fermò di colpo e disse: - Non posso entrare. - Seduto al ristorante c’era un ispettore di polizia che conoscevo. - Devo dirti la verità - disse Kathy. - Ho una relazione con lui.

Indubbiamente sono coincidenze strane. Forse posseggo il dono della precognizione. Ma il mistero diventa sempre più enigmatico; il seguito mi lascia del tutto perplesso. Mi lascia perplesso da quattro anni.

Nel 1974 il romanzo venne pubblicato da Doubleday. Un pomeriggio, parlavo col mio sacerdote, (sono un membro della chiesa episcopale) e per caso gli accennai a un’importante scena verso la fine del romanzo. In questa scena, il personaggio Felix Buckman incontra uno sconosciuto nero in una stazione di rifornimento aperta tutta la notte, e i due si mettono a parlare. Mentre io procedevo a descrivergli nei dettagli la scena, il mio sacerdote diventò sempre più agitato. Alla fine disse: - È una scena del Libro degli Atti, nella Bibbia! Negli Atti, la persona che incontra sulla strada il nero si chiama Filippo. Philip, come te. - Padre Rasch era talmente sconvolto dalla somiglianza che non riuscì nemmeno a rintracciare l’episodio nella Bibbia. - Leggiti gli Atti - mi ordinò. - E sarai d’accordo con me. È la stessa cosa, fino ai particolari.

Tornai a casa e lessi l’episodio negli Atti. Sí, padre Rasch aveva ragione. La scena del mio romanzo era chiaramente un’altra versione dell’episodio degli Atti... e io non avevo mai letto gli Atti, devo ammetterlo. Ma l’enigma diventava sempre più fitto. Negli Atti l’alto ufficiale romano che arresta e interroga San Paolo si chiama Felix, lo stesso nome del mio personaggio. E il mio personaggio Felix Buckman è un funzionario di rango molto elevato nella polizia; anzi, nel mio romanzo ricopre la stessa carica di Felix nel Libro degli Atti: è l’ultima autorità. Nel romanzo c’è una conversazione che ricorda molto da vicino un dialogo tra Felix e Paolo.

A quel punto decisi di cercare altre somiglianze. Il personaggio principale del mio romanzo si chiama Jason. Mi procurai un indice della Bibbia e cercai il nome Giasone. Io non me ne ricordavo, però un Giasone appare nella Bibbia, una sola volta, nel Libro degli Atti. E. quasi per una persecuzione di coincidenze, nel mio romanzo Jason fugge dalle autorità e si rifugia in casa di una persona, e negli Atti Giasone offre rifugio in casa stia a qualcuno che sta fuggendo alla legge: un perfetto capovolgimento della situazione dei mio romanzo, come se il misterioso Spirito responsabile di tutto questo avesse voluto farsi una risata.

Felix, Jason, e l’incontro sulla strada con un nero che è un pefetto sconosciuto. Negli Atti, il discepolo Filippo battezza il nero, che se ne va colmo di gioia. Nel mio romanzo, Felix Buckman chiede al nero sconosciuto un sostegno emotivo, perché la sorella di Felix è appena morta e lui sta crollando. Il nero risolleva il morale di Buckman, che non se ne va colmo di gioia, però se non altro ha smesso di piangere. Stava tornando a casa, in lacrime per la morte della sorella, e doveva parlare con qualcuno, chiunque, persino un perfetto estraneo. È un incontro sulla strada fra due sconosciuti che cambia la vita di uno dei due, sia nel mio romanzo che negli Atti. E un ultimo scherzo del misterioso Spirito all’opera: il nome Felix è il termine latino per "felice", cosa che non sapevo mentre scrivevo il romanzo.

Un attento studio del mio romanzo mostra che, per motivi che non posso nemmeno cominciare a spiegare, ero riuscito a riscrivere vari incidenti fondamentali di un certo libro della Bibbia, scegliendo persino i nomi giusti. Poteva esserci qualche spiegazione logica? Quattro anni fa ho scoperto tutto questo. Per quattro anni ho tentato di elaborare una teoria, e non ci sono riuscito. Dubito che ci riuscirò mai.

Ma il mistero non era finito lì, come credevo. Due mesi fa, a notte fonda, ero uscito di casa per imbucare una lettera e anche per godermi la vista della chiesa di San Giuseppe, che sorge di fronte al palazzo dove abito. Mi accorsi di un uomo che se ne stava fermo accanto a un’auto parcheggiata. Sembrava che volesse rubare la macchina, o forse qualcosa all’interno. Quando tornai dalla cassetta postale, l’uomo si nascondeva dietro un albero. D’impulso mi avvicinai e gli chiesi: - C’è qualcosa che non va? Sono rimasto senza benzina disse l’uomo. - E non ho soldi.

Incredibilmente, perché è una cosa che in passato non avevo mai fatto, tirai fuori il portafoglio, presi tutti i soldi e li diedi all’uomo. Lui mi strinse la mano e mi chiese dove vivevo, per potermi restituire il denaro. lo tornai al mio appartamento e mi resi conto che i soldi non gli sarebbero serviti a niente, visto che nei paraggi non c’erano stazioni di rifornimento . Così tornai fuori, in automobile. L’uomo aveva nel portabagagli della macchina una tanica di metallo, e assieme, sulla mia auto, raggiungemmo una stazione di rifornimento aperta tutta la notte. Ci trovammo lì, due sconosciuti, mentre l’inserviente riempiva di benzina la tanica di metallo. Mi resi conto di colpo che quella era la scena dei mio romanzo, il romanzo scritto otto anni prima. La stazione di rifornimento era identica a quella che avevo immaginato con l’occhio della mente scrivendo la scena (le abbaglianti luci al neon, l’inserviente), e adesso vedevo anche qualcosa che prima mi era sfuggito. Lo sconosciuto che stavo aiutando era nero.

Tornammo alla sua auto con la benzina, ci stringemmo la mano, e io rientrai in casa. Da allora non l’ho più rivisto. Lui non ha mai potuto restituirmi i soldi perché non gli ho detto in quale appartamento abitavo, o come mi chiamavo. Comunque, quell’esperienza fu uno shock tremendo. Avevo letteralmente vissuto la scena di un mio romanzo. Il che equivale a dire che avevo vissuto una specie, di replica della scena degli Atti in cui Filippo incontra sulla sua strada il negro.

Come si poteva trovare una spiegazione a questo?

La risposta che ho trovato potrebbe anche non essere esatta, però è l’unica risposta che ho. Ha a che fare col tempo. La mia teoria è questa: in un certo, importante senso, il tempo non è reale. O forse è reale, però non come noi lo viviamo o come lo immaginiamo. Avevo l’acuta, soverchiante certezza (e ce l’ho ancora) che nonostante tutti i cambiamenti che vediamo, al di sotto del mondo che cambia esista un ambiente perenne; e che questo ambiente invisibile sia quello della Bibbia; per l’esattezza, quello dei periodo immediatamente seguente alla morte e resurrezione di Cristo; in altre parole, il periodo temporale del Libro degli Atti.

Parmenide sarebbe fiero di me. Ho visto un mondo in continuo mutamento e sostengo che al di sotto dell’apparenza c’è l’eterno, l’immutabile, l’assolutamente reale. Ma com’è successo? Se il tempo reale è all’incirca il 50 dopo Cristo, come mai noi vediamo il 1978? E se davvero viviamo nell’impero romano, in qualche regione della Siria, perché vediamo gli Stati Uniti?

Nel Medio Evo nacque una curiosa teoria, che ora vi presenterò per quello che vale. La teoria dice che il Maligno, Satana, è la "Scimmia di Dio". Che crea imitazioni spurie della creazione, della vera creazione di Dio, e le fa passare per la creazione autentica. Questa strana teoria serve a spiegare le mie esperienze? Dobbiamo credere di essere ingannati, illusi; credere che questo non sia il 1978, bensì il 50, e che Satana abbia tessuto una realtà fasulla per sconfiggere la nostra fede nel ritorno di Cristo?

Posso immaginarmi a colloquio con uno psichiatra. Lo psichiatra dice: - Che anno è? - E io rispondo: - Il 50 dopo Cristo. - Lo psichiatra strizza le palpebre e chiede: - E dove ti trovi? - Io rispondo: - In Giudea. - Dove accidenti è la Giudea? - chiede lo psichiatra. - Fa parte dell’impero romano - sarei costretto a rispondergli. - Sai chi è Presidente? - chiederebbe lo psichiatra, e io gli risponderei: - Il procuratore Felix. - Ne sei proprio sicuro? - chiederebbe lo psichiatra, e intanto farebbe cenno a due Suoi assistenti molto robusti. - Sì risponderei io. - A meno che Felix non sia stato destituito e sostituito dal procuratore Festus. Il fatto è che San Paolo è stato trattenuto da Felix per... - Chi ti ha detto tutto questo? - mi interromperebbe, irritato, lo psichiatra, e io ribatterei: - Lo Spirito Santo. - Dopo di che finirei nella cella imbottita, chiuso come in bottiglia, e saprei perfettamente perché ci sono finito.

Tutto in quelle affermazioni sarebbe vero, in un certo senso, anche se palesemente non vero in un altro. So benissimo che la data attuale è il 1978 e che Jimmy Carter è Presidente e che io vivo a Santa Ana, California, negli Stati Uniti. So persino come arrivare dal mio appartamento a Disneyland, un fatto che non riesco a scacciare dalla memoria. E di certo non esisteva alcuna Disneyland ai tempi di San Paolo.

Quindi, se mi costringo a essere molto razionale e ragionevole e tutto il resto, devo ammettere che l’esistenza di Disneyland (che so reale) dimostra che non viviamo nella Giudea del 50 dopo Cristo. L’idea di San Paolo che gira su una tazza di tè gigante mentre scrive la Prima lettera ai Corinti, sotto gli obiettivi delle telecamere di una televisione di Parigi, be’, è impossibile. San Paolo non si avvicinerebbe mai a Disneyland. Solo bambini, turisti, e alti funzionari sovietici in visita agli Stati Uniti vanno a Disneyland. I santi, no.

Però in qualche modo quel materiale biblico si è intrufolato nel mio inconscio e nel mio romanzo, ed è altrettanto vero che per qualche motivo io ho vissuto, nel 1978, una scena che avevo descritto nel 1970. Ciò che sto dicendo è questo: c’è un’evidenza interna, in uno dei miei romanzi come minimo, che un’altra realtà, una realtà, immutabile proprio come avevano sospettato Parmenide e Platone, esista al di sotto dei cangiante mondo fenomenico, e che in qualche modo, forse con nostra stessa sorpresa, noi possiamo raggiungerla. O per meglio dire, un misterioso Spirito può metterci in contatto con essa, se desidera che vediamo questo paesaggio eterno. Il tempo passa, passano migliaia di anni, ma nell’attimo stesso in cui percepiamo il mondo contemporaneo, al di sotto di esso esiste, nascosto, il mondo antico, il mondo della Bibbia, ancora presente e reale. Per l’eternità.

Devo rovinarmi e raccontarvi il resto di questa storia bizzarra? Visto che sono già arrivato fin qui, lo farò. Il mio romanzo Flow My Tears, the Policeman Said venne pubblicato da Doubleday nel febbraio 1974. Una settimana dopo la pubblicazione, io subii l’estrazione di due denti del giudizio, sotto anestesia da pentothal. Quello stesso giorno, più tardi, mi trovai in preda ad atroci dolori. Mia moglie telefonò al dentista, e lui telefonò a una farmacia. Mezz’ora più tardi bussarono alla mia porta: era l’addetto alle consegne della farmacia, con gli analgesici. Quando aprii la porta, mi trovai davanti una ragazza. Portava una catena d’oro che aveva al centro; uno scintillante pesce d’oro. Per qualche motivo, restai ipnotizzato al pesce; dimenticai il dolore, dimenticai le medicine, dimenticai il motivo della presenza della ragazza. Continuavo a fissare il pesce.

- Cosa significa? - le chiesi.

La ragazza toccò con una mano il pesce d’oro e disse: - È l’emblema che portavano i primi cristiani. - Poi mi diede i medicinali.

In quell’istante, mentre fissavo il pesce dorato e sentivo le sue parole, vissi all’improvviso quella che, come scoprii in seguito, si chiama anamnesis; una parola greca che significa, letteralmente, "perdita della dimenticanza". Ricordai chi ero e dove ero. In un attimo, in un battito di ciglia, mi tornò tutto in mente. E non solo lo ricordavo, lo vedevo anche. La ragazza era in segreto una cristiana, come me. Vivevamo nella paura di essere’ scoperti dai romani. Dovevamo comunicare attraverso segnali criptici. Lei me lo aveva appena detto, ed era tutto vero.

Per qualche secondo, per quanto sia difficile. crederlo o spiegarlo, vidi apparire incerti i contorni dell’odiosa Roma, simile a una prigione. Ma, cosa molto più importante, ricordai Gesù, che era stato da poco con noi e se n’era andato, e presto sarebbe tornato. L’emozione che provai fu gioia. In segreto, ci preparavamo a darGli il benvenuto. Non mancava molto. E i romani non lo sapevano. Pensavano che Lui fosse morto, morto per sempre. Era quello il nostro grande segreto, la nostra gioiosa conoscenza. Nonostante tutte le apparenze, Cristo sarebbe tornato, e la nostra gioia e il nostro senso d’attesa erano illimitati.

Non è strano che questo evento singolare, questo rammentarmi di ricordi perduti, si sia verificato solo una settimana dopo la pubblicazione di Flow My Tears? Ed è Flow My Tears che contiene la replica di persone ed eventi del Libro degli Atti, un Libro situato nell’esatto momento temporale (subito dopo la morte e la resurrezione di Gesù) che io ricordai come un fatto recente vedendo il piccolo pesce d’oro.

Se voi foste stati nei miei panni, se tutto questo fosse successo a voi, sono certo che non sareste riusciti a lasciare perdere. Avreste cercato una teoria capace di spiegare tutto. Sono ormai più di quattro anni che lo provo con una teoria dopo l’altra: tempo circolare, tempo congelato, tempo senza tempo, quello che viene definito tempo "sacro" in contrapposizione al tempo "mondano"... ho perso il conto delle teorie che ho provato. Comunque, una costante è rimasta intatta in tutto il seguito di teorie: deve realmente esistere uno Spirito Santo che possiede una relazione esatta e intima con Cristo, che può penetrare nelle menti umane, guidarle e conformarle ai propri voleri, e persino esprimersi attraverso gli stessi esseri umani senza che loro ne siano consapevoli.

Mentre scrivevo Flow My Tears, nel 1970, si verificò un evento insolito che mi parve subito straordinario. Non faceva parte del normale processo creativo. Una notte feci un sogno, un sogno particolarmente vivido. E quando mi svegliai scoprii in me il desiderio ossessivo, l’assoluta necessità, di inserire il sogno. nel corpo del romanzo, esattamente come l’avevo sognato. Per riprodurre il sogno alla perfezione dovetti riscrivere 11 volte la parte finale dei manoscritto, finché non ne fui soddisfatto.

Adesso citerò direttamente dalla stesura definitiva del libro, come apparve in stampa. Provate a vedere se questo sogno vi ricorda qualcosa.

La campagna scura e arida in estate, dove aveva vissuto da bambino. Cavalcava un cavallo, e alla sua sinistra, lentamente, si avvicinava un drappello di cavalli. Sui cavalli c’erano uomini in sgargianti tuniche, ognuna di un colore diverso; ogni uomo indossava un elmo a punta che brillava alla luce dei sole. I lenti, solenni cavalieri lo superarono, e mentre gli passavano accanto lui vide il volto di uno di loro: un antico volto marmoreo, un uomo terribilmente anziano con cascate di barba bianca. Che naso forte possedeva. Che tratti nobili. Così stanco, così serio, così al di là dell’uomo comune. Chiaramente era un re.

Felix Buckman li lasciò passare. Non parlò con loro, e loro non gli dissero nulla. Assieme, tutti si mossero verso la casa da cui era giunto lui. Dentro la casa si era chiuso un uomo, un uomo solo, Jason Taverner, nel silenzio e nel buio, senza finestre, abbandonato a se stesso da quel momento all’eternità. Seduto, semplicemente limitandosi a esistere, inerte. Felix Buckman proseguì, continuò a camminare verso l’aperta campagna. Poi udì, dietro di sé, un unico, orribile strillo. Avevano ucciso Taverner; e vedendoli entrare, sentendoli attorno a sé nell’ombra, sapendo cosa volevano fare di lui, Taverner aveva strillato.

Felix Buckman avvertì in sé un dolore assoluto, desolato, Ma nel sogno non tornò indietro, non si girò a guardare. Non poteva fare nulla. Nessuno avrebbe potuto fermare il gruppo di uomini con le tuniche multicolori; nessuno avrebbe potuto opporre un no. Comunque, era finita. Taverner era morto.

Questo brano probabilmente non vi fa venire in mente niente di particolare, se non un gruppo di rappresentanti della legge che punisce un colpevole, o comunque qualcuno ritenuto colpevole. In effetti non è chiaro se Taverner abbia davvero commesso un crimine o se sia semplicemente e stato giudicato colpevole. Io avevo ,impressione che fosse colpevole, ma che doverlo uccidere fosse una tragedia, una tragedia orribilmente triste. Nel romanzo, il sogno spinge Felix Buckman a mettersi a piangere, dopo di che Felix va in cerca del nero alla stazione di servizio.

Mesi dopo la pubblicazione del romanzo, trovai la parte della Bibbia cui si riferisce questo sogno. È Daniele, 7;9:

Io guardavo:
ed ecco, furono collocati troni
e un Antico di giorni si assise.
La sua veste era bianca come neve
e i capelli del suo capo
candidi come lana;
il suo trono era come vampe di fuoco
e le sue ruote come fuoco fiammeggiante.
Un fiume di fuoco colava
scorrendo dalla sua presenza.
Mille migliaia lo servivano
e miriadi di miriadi
stavano davanti a lui.
Il tribunale sedette
e i libri furono aperti.

L’uomo dai capelli bianchi riappare nell'Apocalisse, 1:13:

Vidi... uno simile a un figlio dell’uomo, coperto da una tunica sino ai piedi, con una fascia d’oro attorno al petto. I capelli della sua testa erano bianchi come lana bianca di neve, e i suoi occhi gettavano fiamme come fuoco. I suoi piedi splendevano come ottone forgiato in una fornace, e la sua voce era come il suono dell’acqua che scorre.

E poi a 1: 17:

Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma lui pose su me la mano destra e disse: - Non temere. Io sono il primo e l’ultimo, e sono colui che vive, poiché ero morto e adesso vivo per sempre, e posseggo le chiavi di Morte e d el regno di Morte. Scrivi quindi ciò che hai visto, ciò che è ora e che sarà sempre.

E, come Giovanni di Patmo, io scrissi fedelmente ciò che avevo visto e lo inserii nel mio romanzo., Ed era tutto vero, anche se all’epoca non sapevo a chi alludesse la mia descrizione:

Lui vide il volto di uno di loro: un antico volto marmoreo, un. uomo terribilmente anziano con cascate di barba bianca. Che naso forte possedeva. Che tratti nobili. Così stanco, cosi serio, così al di là dell’uomo comune. Chiaramente era un re.

Certo che è un re. È Cristo stesso, tornato per giudicare. Ed è questo che sta nel mio romanzo: giudica l’uomo che si è rinchiuso nelle tenebre. L’uomo rinchiuso nelle tenebre dev’essere il Principe dei Male, la Forza delle Tenere. Chiamatelo come volete, il suo tempo era giunto. Viene giudicato e condannato. Felix Buckman poteva piangere per la tristezza di quella morte, ma sapeva che il verdetto era indiscutibile. E così proseguì, senza girarsi a guardare, e udì solo l’urlo della paura, e della sconfitta: l’urlo del male distrutto.

Quindi il mio romanzo conteneva materiale di altre parti della Bibbia, oltre che sezioni degli Atti. Decifrato, il mio romanzo racconta una storia molto diversa dalla storia di superficie (nella quale qui non è necessario addentrarci). La vera storia è semplicemente questa: il ritorno di Cristo, adesso re anziché servo sofferente. Giudice anziché vittima di un ingiusto verdetto.. Tutto è capovolto. Il messaggio centrale del mio romanzo, senza che io lo sapessi , era un avvertimento ai potenti: fra poco sarete giudicati e condannati, A chi mi riferivo, esattamente? Non saprei. dirlo, o meglio, preferirei non dirlo. Non ho certezze, solo un’intuizione. E un’intuizione non è sufficiente. per cui terrò per me i miei pensieri. Però voi potreste chiedervi quali eventi politici si siano svolti in questo Paese tra il febbraio 1974 e l’agosto 1974. Chiedetevi chi è stato giudicato e condannato, chi è caduto in rovina e disgrazia come una stella fiammeggiante. L’uomo più potente del mondo.. E io mi sento triste per lui oggi come mi sentivo triste quando ho fatto quel sogno. Quel pover’uomo - dissi una volta a mia moglie, con le lacrime agli occhi. - Chiuso al buio, a suonare il pianoforte di notte, solo e spaventato, con la consapevolezza di ciò che lo attende. - Ma ciò che è stato fatto a lui e ai suoi uomini ("Tutti gli uomini del Presidente", per usare la frase di qualcun altro) doveva essere fatto. Però è finita, e lui dovrebbe poter tornare alla luce del sole; nessuna creatura, nessuna persona, va chiusa fra le tenebre per sempre, in preda alla paura. Non è umano.

Più o meno all’epoca in cui la Corte Suprema decideva che i nastri di Nixon dovevano essere consegnati all’accusa, mangiavo in un ristorante cinese a Yorba Linda, la città californiana dove Nixon è andato a scuola; dove è cresciuto, dove ha lavorato in un negozio, dove esiste un parco intitolato a lui e ovviamente la sua casa, una casa molto semplice. Nel dolcetto della fortuna trovai questo messaggio:

LE AZIONI FATTE IN SEGRETO FINISCONO CON L’ESSERE SCOPERTE.

Spedii il foglietto alla Casa Bianca, accennando al fatto che il ristorante cinese si trovava a poco più di un chilometro dalla vecchia casa di Nixon, e scrissi: "Credo ci sia stato un errore. Per sbaglio io ho ricevuto il messaggio destinato al signor Nixon. Lui ha il mio?" La Casa Bianca non rispose..

Quindi, come dicevo prima, l’autore di un’opera dell’immaginazione potrebbe scrivere la verità senza saperlo. Per citare Senofane, un altro presocratico: "Se anche un uomo dovesse per caso esprimere la più completa verità, non lo saprebbe; ogni cosa è avvolta in apparenze" (Frammento 34). E Eraclito ha aggiunto: "La natura delle cose sta nell’abitudine a nascondersi" (Frammento 54). W. S. Gilbert, del duo Gilbert & Sullivan, ha detto: "È raro che le cose siano ciò che sembrano; il latte scremato si maschera da panna." Il punto di tutto questo è che non possiamo fidarci dei nostri sensi, e probabilmente nemmeno dei nostri ragionamenti a priori. In quanto ai sensi, so che le persone cieche dalla nascita che ritrovano la vista all’ improvviso restano stupefatte nello scoprire che gli oggetti, a mano a mano che si allontanano, sembrano diventare sempre più piccoli. A rigor di logica, la cosa è immotivata. Noi ovviamente la accettiamo perché ci siamo abituati. Vediamo gli oggetti rimpicciolire, ma sappiamo che in realtà conservano le stesse dimensioni. Quindi, anche la persona più comune e più realista utilizza una certa dose di sofisticate convenzioni, nel valutare ciò che occhi e orecchie le dicono.

Ben poco di ciò che Eraclito ha scritto è sopravvissuto, e ciò che possediamo è oscuro, ma il Frammento 54 è lucido e importante: "La struttura latente è padrona della struttura ovvia." Questo significa che Eraclito credeva che sopra il vero ambiente fosse disteso un velo. Forse sospettava anche che il tempo non fosse ciò che sembra, perché nel Frammento 52 ha detto: "Il tempo è un bambino che gioca... Di un bambino è il regno." La formulazione è effettivamente enigmatica. Ma ha anche detto, nel Frammento 18: "Se non lo si aspetta, non si troverà l’inaspettato; non va ricercato, e nessun sentiero ci conduce a esso."

Edward Hussey, nel suo studio I presocratici, dice:

Se Eraclito è così insistente sulla mancanza di capacità di comprendere dimostrata da tanti uomini, appare ragionevole che abbia offerto ulteriori istruzioni per giungere alla verità. Il parlare per enigmi suggerisce che è necessario un qualche tipo di rivelazione, al di là del controllo umano... La vera saggezza, come si è visto, è strettamente collegata a Dio, il che suggerisce che acquisendo saggezza un uomo diventa come, o parte di, Dio.

Questa citazione non è tratta da un testo religioso o da un libro sulla teologia; è un’analisi dei primi filosofi fatta da un lettore di filosofia antica dell’università di Oxford. Hussey chiarisce che per quei primi filosofi non esisteva distinzione tra filosofia e religione. Il primo grande balzo in avanti della teologia greca è dovuto a Senofane di Colophon, nato a metà dei sesto secolo avanti Cristo. Senofane, ricorrendo solo all’autorità della propria mente, dice:

Un solo dio esiste, per nessun verso simile alle creature mortali in forma fisica o nel pensiero della mente. Il suo intero essere vede, il suo intero essere pensa, il suo intero essere ode. Resta sempre immobile nello stesso luogo; non è degno di lui muoversi ora da questo lato, ora da quello.

È un concetto di Dio sottile e avanzato, evidentemente senza precedenti fra i pensatorí greci. "Gli argomenti di Parmenide sembravano dimostrare che l’intera realtà fosse una mente" scrive Hussey "oppure l’oggetto di un pensiero in una mente." Di Eraclito dice: "In Eraclito è difficile dire fino a che punto i disegni della mente di Dio si distinguono dalla loro esecuzione nel mondo, o anzi fino a che punto la mente di Dio si distingue dal mondo." Il successivo balzo in avanti di Anassagora mi ha sempre affascinato. "Anassagora è stato portato a una teoria della microstruttura della materia che rendeva la materia, in un certo grado, misteriosa per la ragione umana." Anassagora credeva che tutto fosse determinato dalla Mente. Costoro non erano pensatori infantili, primitivi. -Discutevano di questioni serie e studiavano i reciproci punti di vista con sagace penetrazione. Fu solo all’epoca di Aristotele che le loro intuizioni vennero ridotte al rango di ciò che oggi, sbagliando, possiamo definire idee rozze. Il nocciolo di molta teologia e filosofia presocratica può essere riassunto in questo modo: il kosmos non è ciò che appare essere; ciò che probabilmente è, a livello profondo, è esattamente ciò che è l’essere umano a livello profondo. Chiamiamolo mente oppure anima, è qualcosa di unitario che vive e pensa, e solo apparentemente è plurale e materiale. Molte di queste concezioni ci giungono attraverso la dottrina del Logos che concerne Cristo. Il Logos era sia ciò che pensava, sia l’oggetto dei suoi pensieri: pensatore e pensiero assieme. L’universo, quindi, è pensatore e pensiero, e siccome noi ne facciamo parte, noi in quanto umani siamo, in ultima analisi, pensieri e pensatoti di questi pensieri.

Così, se Dio pensa alla Roma del 50 dopo Cristo circa, la Roma del 50 dopo Cristo circa esiste. L’universo non è una sveglia, e Dio la mano che la carica. L’universo non è una sveglia a batteria, e Dio la batteria. Spinoza credeva che l’universo fosse il corpo di Dio esteso nello spazio. Ma molto prima di Spinoza, duemila anni prima di lui, Senofane aveva detto: "Senza sforzo, egli dirige ogni cosa coi pensiero della sua mente." (Frammento 25.)

Se qualcuno fra voi ha letto il mio romanzo Ubik, sa che la misteriosa entità o mente o forza chiamata Ubik inizia come una serie di volgari annunci pubblicitari e finisce col dire:

Io sono Ubik. Prima che l’universo fosse io sono. Io ho fatto i soli. Io ho fatto i mondi. Io ho creato le vite e i posti che esse abitano; io le muovo qui, io le metto là. Esse vanno come io dico, fanno ciò che io dico. Io sono la parola e il mio nome non viene mai detto, il nome che nessuno conosce. lo sono chiamato Ubik ma non è questo il mio nome. Io sono. Io sarò sempre.

Da questo è ovvio chi e cosa sia Ubik. Dice chiaramente di essere la parola, cioè il Logos. Nella traduzione tedesca esiste uno degli sbagli più meravigliosi che mi sia mai capitato d’incontrare. Dio ci aiuti se l’uomo che ha tradotto in tedesco il mio romanzo Ubik dovesse tradurre dalla koiné greca in tedesco il Nuovo Testamento. Se l’è cavata bene finché non è arrivato alla frase I am the word, Io sono la parola. Lì si è trovato perlesso. "Cosa diavolo può voler dire l’autore?’ deve essersi chiesto, perché chiaramente non avrà mai sentito parlare della dottrina del Logos. Così ha semplicemente fatto del suo meglio. Nell’edizione tedesca, l’Entità Assoluta che ha creato i soli, ha creato i mondi, ha creato le vite e i posti che esse abitano, dice di se stessa: Io sono il marchio di fabbrica, I am the brand name.

Avesse tradotto il Vangelo secondo Giovanni, probabilmente avrebbe scritto:

In principio era il marchio di fabbrica
e il marchio di fabbrica era presso Dio
e Dio era il marchio di fabbrica.

Dunque vi porto i saluti non solo di Disneyland, ma anche dei Regno delle Beffe. Ecco il destino di un autore che spera di includere temi teologici in ciò che scrive. "Il marchio di fabbrica era in principio presso Dio, e tutto per mezzo di lui fu fatto, e senza di lui non fu fatto assolutamente nulla di ciò che è stato fatto." E questo il destino delle nobili ambizioni. Speriamo che Dio abbia il senso dell’umorismo.

O per meglio dire, speriamo che il marchio di fabbrica abbia il senso, dell’umorismo.

Come ho detto all’inizio, i temi che mi interessano quando scrivo sono "Cos’è la realtà?" e "Cos’è l’autentico essere umano?" A questo punto capirete senz’altro che non sono riuscito a rispondere alla prima domanda. Ho la forte intuizione che in qualche modo il mondo della Bibbia sia un ambiente reale ma coperto da un velo, immutabile, nascosto alla nostra vista, ma raggiungibile tramite la rivelazione. Non so offrire altro: un misto di esperienze mistiche, ragionamento e fede. Comunque vorrei dire qualcosa sui tratti dell’essere umano autentico; in questa ricerca ho raggiunto risposte più plausibili.

L’autentico essere umano è uno di noi che sa istintivamente cosa non deve fare, e si comporta di conseguenza. Rifiuta di tare ciò, che non deve, anche se questo può provocare a lui e a coloro che ama conse guenze terribili. È questo, per me, il tratto davvero eroico della gente comune: saper dire di no al tiranno, e accettare con calma le conseguenze di questa resistenza. Le loro azioni possono essere minuscole, e quasi sempre ignorate, dimenticate dalla stona. I nomi della gente comune non vengono ricordati, né questi autentici esseri umani si aspettano che i loro nomi siano ricordati. Vedo la loro autenticità in modo strano: non nella loro disponibilità a compiere grandi gesta eroiche ma nei loro tranquilli rifiuti. In In sostanza, non li si, può costringere a essere ciò che non sono.

Il potere delle realtà spurie che ci assediano oggi, questi falsi creati deliberatamente, non penetrano mai nel cuore del vero essere umano. Osservo i bambini che guardano la televisione, e dapprima ho paura di ciò che apprendono, e poi mi rendo conto che non è possibile corromperli o distruggerli . Guardano, ascoltano, capiscono, e dove e quando è necessario, rifiutano. C’è qualcosa di enormemente forte nella capacità di un bambino di opporsi alle bugie. Un bambino ha l’occhio limpido, la mano più salda. Gli imbonitori e imbroglioni fanno appello invano alla complicità di queste piccole persone. Vero, le compagnie che inscatolano cereali possono riuscire a vendere grandi quantità di atroci colazioni; le catene di hamburger e hot dog possono vendere ai bambini infinite tonnellate di fast food irreale, ma il cuore profondo batte saldo, irraggiungibile e impossibile da convincere. Il bambino di oggi sa riconoscere una bugia più in fretta dell’adulto più saggio di vent’anni fa. Quando io voglio sapere cosa sia vero, lo chiedo ai miei bambini. Non sono loro che chiedono a me; sono io che mi rivolgo a loro.

Un giorno, mentre mio figlio Christopher, che ha quattro anni, giocava davanti a me e a sua madre, noi due adulti ci siamo messi a discutere della figura. di Gesù nei Vangeli sinottici. Christopher si è girato per un attimo verso noi e ha detto: - Io sono un pescatore. Io pesco - Stava giocando con una lanterna di metallo che qualcuno mi aveva regalato e io non avevo mai usato. E all’improvviso mi sono reso conto che la lanterna era a forma di pesce. Mi chiedo quali pensieri venivano posti in quel momento nell’anima dei mio bambino, e posti non certo da venditori di cereali o dolciumi. "Io sono un pescatore. Io pesco pesci." Christopher, a quattro anni, aveva trovato il segno che io ho trovato solo a 45 anni.

Il tempo corre sempre più in fretta. E verso cosa? Forse ci è stato detto duemila anni fa. O forse non è passato poi tanto tempo; forse l’idea che sia passato è solo un’illusione. Forse era una settimana fa, oppure poche ore fa. Forse il tempo non solo corre in fretta; forse sta anche arrivando alla fine.

E se ci arrivasse, i giri a Disneyland non saranno mai più la stessa cosa. Perché quando il tempo finirà, gli uccelli e gli ippopotami e i leoni e i cervi di Disneyland non saranno più simulazioni, e per la prima volta, un vero uccello canterà.

Grazie.