Pubblicato in "Signore cortese e umanissimo - Viaggio intorno a Ludovico Ariosto", Marsilio, 1994


Diego Cuoghi

Per la definizione dell’originale collocazione del Camerino Dipinto e del Paradiso nella Rocca di Scandiano



L’affascinante tema della originaria ubicazione dei due ambienti affrescati da Nicolò Dell’Abate all’interno della rocca di Scandiano (il Camerino, con le storie dell’Eneide, e il Paradiso, con il grande Convito degli Dei 1 e le vele dipinte con i Personaggi musicanti), è stato oggetto di ipotesi avanzate da numerosi studiosi, mai suffragate da una precisa documentazione. L’esame del materiale d’archivio di recente reperito negli Archivi di Stato di Reggio Emilia, Modena e Ferrara permette ora, con maggiore sicurezza, non solo localizzare i due ambienti all’interno della rocca, ma pure di avanzare ipotesi attendibili riguardo le loro dimensioni e la disposizione dei dipinti al loro interno.

Il feudo di Scandiano si è andato affermando tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo, grazie al “buon governo” dei Boiardo, raggiungendo un alto livello di vita sociale e culturale. In particolare Giulio Boiardo tra il 1520 e il 1540, proseguendo i lavori avviati dal padre, dà inizio alla trasformazione del paese e all’abbellimento della rocca. L’edificio, da primitivo fortilizio medioevale destinato alla difesa, si trasforma in un sontuoso palazzo rinascimentale ornato di pitture e sculture, di arredi e preziose suppellettili e dotato di una fornita biblioteca, luogo di villeggiatura e di operoso ozio, preferito dal poeta Matteo Maria Boiardo e poi dai suoi eredi. Nell’ambito di questa fase di rinnovamento assume grande rilievo la commissione a Nicolò Dell’Abate dell’esecuzione di un ciclo di affreschi, all’esterno e all’interno della stessa rocca.2 Nell’appartamento di Giulio Boiardo vengono dipinti ad affresco due ambienti che per il committente devono esprimere il raggiunto prestigio e il consolidato potere. In particolare il Camerino o “Studiolo” rappresenta all’interno di tanti palazzi dell’epoca il locale più elegante e raffinato, vero centro della casa vissuto come «un valore di “exemplum” etico da cogliere attraverso la valenza simbolica dell’immagine».3

La presenza di Nicolò a Scandiano è stata recentemente stabilita con sicurezza da Orianna Baracchi grazie al ritrovamento di un inedito atto notarile che permette di attestare il trasferimento dell’artista da Modena a Scandiano, dove risiede per tre anni dal 1540 al 1543.4 Viene così confermata l’ipotesi già esposta da Sylvie Beguin, curatrice della mostra su Nicolò dell’Abate allestita a Bologna nel 1969, secondo la quale l’esecuzione degli affreschi di Scandiano può essere datata intorno al 1540,5 datazione che viene però accettata dalla critica più recente soltanto per il camerino dell’Eneide, mentre, come afferma Pirondini, «si tende a postdatare la decorazione della “Sala del Convito” per i forti influssi parmigianineschi».6 Gli affreschi del Paradiso (ill. n°7-8) sarebbero stati realizzati, secondo lo stesso studioso, negli anni tra il ‘44 e il ‘45, in una fase di lavori strettamente contigua, o forse intersecantesi, con i cicli decorativi della vicina Sassuolo.

Il Camerino dell’Eneide, realizzato come si è detto tra il 1540 e il 1543, viene utilizzato per un breve periodo, così come l’appartamento del quale fa parte. Giulio Boiardo muore infatti nel 1553 e il feudo passa in eredità, in mancanza di discendenti maschi, al fratello Ippolito, il quale, infermo di mente, governa per mezzo di speciali curatori assegnatigli dal duca d’Este fino al 1560 quando muore senza eredi. Successivamente i nuovi feudatari, i Thiene che governano dal 1565 al 1623, affidano all’architetto Giovan Battista Aleotti la ristrutturazione dell’ala opposta della rocca per ricavare l’appartamento residenziale.7 Anche l’ala sud viene, nel corso di questi lavori, completamente sventrata per par posto alla nuova facciata, allo scenografico scalone, e alla grande sala centrale. Inoltre alla metà del ‘600 una delle camere dei Boiardo, quella in fronte alla Galleria, è trasformata, con l’apertura di una ampia serliana, in loggia aperta verso il giardino ad est. L’appartamento dei Boiardo, o meglio quello che ne rimane viene così ad essere isolato in un’ala della rocca non utilizzata dai nuovi feudatari e lasciato quasi in abbandono. Molti inventari della rocca redatti dalla fine del ‘600 al 1752 descrivono infatti le camere dell’ala est piene di suppellettili e mobili “vecchi, usi e laceri”. L’originale configurazione del “Camerino dipinto” è rimasta fino ad oggi sconosciuta anche per l’assenza di precisi documenti archivistici o descrittivi relativi all’assetto distributivo dei lati est e nord della rocca. Inoltre la mancanza di testimonianze dirette relative al lavoro di distacco degli affreschi ostacolava la ricostruzione di questi ambienti.

Il lavoro critico fondava le proprie ipotesi quasi esclusivamente sulle misure degli affreschi che, staccati dallo scultore bolognese Sebastiano Pantanelli nel 1772, sono trasferiti a Modena e sistemati nella “Gran Sala” del Palazzo Ducale. Nel 1815 un rovinoso incendio danneggia irreparabilmente «tre quadri dell’Eneide, le otto donne dei pennelli della volta, un monocromato e due quadretti semicircolari».8 Infine i dipinti superstiti, dopo il restauro e il trasporto su tela, vengono depositati presso la Galleria Estense. Della camera del Paradiso rimangono invece, oltre ad una metà del grande affresco del soffitto, sedici vele della volta dipinte con figure di musicanti.


Il primo studioso a tentare una ricostruzione del Camerino è Giambatista Venturi, che nel 1821 dà alle stampe un grande in folio 9 contenente una attenta descrizione dei dipinti, un saggio sull’attività di Nicolò Dell’Abate e le opere di diversi altri artisti che hanno rappresentato l’Eneide, ma soprattutto una serie di incisioni realizzate da Antonio Gajani e da Giulio Tomba tratte da disegni eseguiti prima dell’incendio. Queste riproducono i dodici canti del poema, otto vele con figure femminili, nove battaglie monocrome e l’ottagono del soffitto. Non vengono invece rappresentate le lunette, probabilmente perchè non attinenti al tema virgiliano ma raffiguranti soggetti riferiti alla famiglia Boiardo, a episodi storici o momenti di vita quotidiana nel feudo di Scandiano.

Secondo Venturi nel Camerino «vedevansi quattro ordini di pitture. Il primo, più basso degli altri e sottoposto all’Eneide, cominciava alto da terra a circa tre quarti di metro e di là ascendeva per altri 80 centimetri. Quivi erano dipinti gruppi di guerrieri larghi circa mezzo metro per ciascheduno. Nove dei quali trasportati col resto a Modena sussistono anche oggidì. (...) il secondo ordine di pitture, posto sopra il precedente, conteneva i quadri dell’Eneide sopra descritti: ciascuno di essi alto 110 centimetri e largo chi 80 centimetri e chi sino a un metro. Questo secondo ordine di pitture ascendeva fin verso la cornice del Gabinetto (...). Sopra la cornice aprivansi nel volto della stanza diverse lunette corrispondenti ai sottoposti quadri dell’Eneide (...) otto donne che stavano nei pennelli della volta fra ogni due lunette larghi tali archi un metro circa nella tangente rettilinea della loro cima e solo 15 centimetri nella base appoggiata al basso fra due lunette». Venturi descrive il Camerino dopo una lunga ricerca, documentata da una serie di appunti manoscritti conservati nella Biblioteca Municipale di Reggio Emilia.10 Tra questo materiale si trova la minuta di una lettera con la quale lo studioso richiede a Paolo Braglia, all’epoca proprietario della rocca, notizie relative alla forma del Camerino e alle dimensioni degli affreschi. Un semplice sopralluogo all’interno della rocca non sarebbe stato sufficiente, infatti il piano nobile dell’ala est, dopo il distacco degli affreschi, è stato completamente sventrato e adibito a granaio. Nonostante fossero passati solo quarant’anni dal distacco degli affreschi Venturi raccoglie solo notizie vaghe e imprecise.11

(due battaglie)

I risultati di queste prime indagini sono condensati in due appunti corredati da schizzi degli elementi decorativi e della pianta dell’ambiente. Nel primo si afferma che «i quadri dell’Eneide sono alti 110, larghi da 88 a 100. Le Donne sono larghe in cima 100, in fondo 15, alte secondando l’arcata 90. Le battaglie sono alte 80, larghe 41 e 50. L’ottagono è largo 75. I suoi lati sono 31.». Nel secondo documento Venturi propone una pianta del Camerino rappresentato come un rettangolo di «lunghezza di braccia undici e larghezza di braccia sette», con due finestre e un camino sul lato verso il giardino e una sola porta che comunica con una stanza a sud. Il Camerino è inoltre separato dal lato dell’edificio verso il cortile interno da un “andavino». Convertendo le misure che Venturi indica in braccia reggiane (metri 0,538) otteniamo un ambiente di metri di 5,90 x 3,75.

Una ricostruzione successiva è quella tentata da Roberto Gandini nel 1981,12 nella quale viene avanzata l’ipotesi della presenza di due porte che mettono in comunicazione il Camerino con gli altri ambienti dell’appartamento dei Boiardo. Il Camerino così ricostruito risulta un ambiente rettangolare delle dimensioni di metri 4 x 3,40, privo di finestre e di camino. L’ipotesi di un Camerino “oscuro” sarebbe confermata secondo lo studioso dalla «attuale buona conservazione dei dipinti e la moda del tempo per simili locali» e dal confronto con i «più noti gabinetti isabelliani di Mantova, a quelli di Belfiore di Ferrara e alla stufetta di Fontanellato, dai quali certamente, quello di Scandiano aveva tratto ispirazione.». Inoltre, continua Gandini, «dei molti atti notarili stilati dai cancellieri dello stato nell’appartamento del conte Giulio, mai nessuno fu redatto nel “Camerino delle pitture” o anche nel “Camerino parvo pincto” come viene chiamato dai notai».13 L’ipotesi secondo cui i camerini dell’epoca, e in particolare quelli di Mantova e Belfiore, non presentavano aperture verso l’esterno appare non convincente nè sufficientemente documentata. Al contrario, come segnala Liebenwein, il primo studiolo di Isabella d’Este, situato nel castello di S.Giorgio, «riceveva luce (...) da una finestra aperta sulla parete orientale, che solo nel maggio 1496 fu trasformata in una porta-finestra»,14 e così i successivi camerini fatti realizzare all’interno del Palazzo Ducale intorno al 1522 presentano ognuno una grande finestra sulla parete meridionale.15

Una diversa ricostruzione è quella formulata da Erika Langmuir nel 1976, in un articolo estratto dalla propria tesi di laurea discussa presso la Stanford University.16 In questo prezioso contributo si ipotizza per la prima volta un ordine di lettura degli affreschi del Camerino in cui lo schema compositivo, e quindi il tema allegorico, segue una successione che dal basso procede verso l’alto: dopo un’epoca di guerre e lotte tra eserciti rivali (le battaglie) si assiste con l’epica storia di Enea, alla fondazione della “Civiltà Romana”, alla quale fa riferimento l’attuale vita armoniosa nei possedimenti dei Boiardo (le lunette), per terminare poi nell’apoteosi della famiglia dei feudatari, ritratta nell’ottagono del soffitto nell’atto di osservare con sorrisi benevoli gli avvenimenti che si svolgono al di sotto, e attorniata da musicisti e poeti. Langmuir ricostruisce il Camerino come un ambiente quadrato, nel quale «gli affreschi non dovevano essere raggruppati in due gruppi di quattro e due di due, ma in quattro gruppi di tre, (...) la scala della decorazione conosciuta e la tradizione secondo cui si trattava di un gabinetto o salotto, suggeriscono che fosse piccolo. il soffitto a volte avrebbe compensato la discrepanza nelle misure fra le figure dei pennacchi e il resto della decorazione. Le irregolarità nell’ampiezza degli affreschi e delle lunette suggeriscono l’esistenza di aperture al livello dell’Eneide, probabilmente finestre. Potrebbero esserci stati originariamente undici monocromi (Venturi ne cita solo nove) più un camino. Avrebbe dovuto esserci una porta. Questo è tutto quello che si sa o che si può plausibilmente ipotizzare».17 L’assenza di ricostruzioni grafiche non permette però di visualizzare in modo preciso l’ipotesi avanzata che porta alla collocazione delle scene principali al di sopra di uno zoccolo di circa 50 centimetri, e dei monocromi (80 cm.). In questo modo la base degli affreschi raffiguranti l’Eneide verrebbe a trovarsi ad una altezza (considerando qualche fascia decorativa intermedia) di circa 140 centimetri. La disposizione proposta, se da una parte asseconda la godibilità delle scene, che si troverebbero ad altezza d’occhio, rende però inevitabile la suddivisione di almeno due delle pareti in quattro comparti, necessari alla collocazione della porta e delle finestre, fatto che contraddice l’iniziale ipotesi formulata dalla studiosa, cioé la «probabilità della suddivisione delle pareti in tre parti, sia orizzontali che verticali»18. L’unica soluzione che possa rendere accettabile questa ricostruzione è la collocazione ad una maggiore altezza del ciclo pittorico principale, che si verrebbe a trovare così al di sopra della porta d’ingresso e dunque anche alle finestre.

Rita Parma Baudille in un saggio dedicato agli affreschi scandianesi pubblicato nel catalogo della mostra Virgilio nell’arte e nella cultura europea (1981), sostiene che la celebrazione di Enea, rappresentata «in chiave medievaleggiante e cavalleresca» da Nicolò dell’Abate «magnificava il committente Giulio Ascanio come erede della politica e delle tradizioni letterarie della famiglia attraverso l’implicita analogia con il figlio di Enea, Julio Ascanio, erede materiale e spirituale delle conquiste paterne».19 Nello stesso articolo si propone una nuova ipotesi relativa alla forma del Camerino. In una schematica illustrazione l’ambiente viene riproposto in forma quadrata: due pareti contengono ognuna quattro canti del poema, le altre solo due dipinti divisi da una grande apertura centrale (porta e finestra).

Nessuna delle succitate ipotesi risulta convincente nè sufficientemente documentata. Si sono così intraprese nuovi studi che hanno condotto alla formulazione di una diversa ipotesi di ricostruzione del “Camerino dipinto”.

La ricerca prende l’avvio dal momento del distacco degli affreschi. Questo avviene nel 1772 per ordine del duca Francesco III, che richiede il trasporto dei dipinti a Modena e la successiva collocazione nella “Gran Sala” del Palazzo Ducale. Sono stati perciò consultati presso l’Archivio di Stato di Modena i fondi nei quali poteva essere stata depositata la documentazione delle spese sostenute per l’intero ciclo dell’operazione: l’ Amministrazione della Casa, l’ Amministrazione dei Principi e soprattutto la cosiddetta Cassa Segreta, un particolare archivio «di recapiti contabili, quasi sempre di particolare importanza, che venivano fin dall’origine conservati a parte, in un armadio chiamato appunto Cassa Segreta».20 La consultazione di serie di filze datate tra il 1772 e il 1774 ha consentito di individuare una serie di testimonianze, molto particolareggiate, relative alle spese sostenute dalla Camera Ducale per i lavori di distacco degli affreschi. Il primo documento, del 18 giugno del 1772, è un fascicolo redatto dall’amministratore ducale Vincenzo Fabrizi, nel quale si espongono i risultati di un sopralluogo effettuato presso la rocca di Scandiano «per visitare li risarcimenti che necessariamente si stanno facendo in quella Rocca (...) e per opinare se venivano eseguiti nella conformità prescritta».21

Vengono descritti i danni provocati da un fulmine, il giorno 3 dello stesso mese, che avrebbero pregiudicato la stabilità della intera Fabbrica e in particolare del Gabinetto dell’Eneide, che si presenta in «prossimo pericolo di perire». Fabrizi consiglia il distacco degli affreschi, operazione da affidarsi allo scultore Pantanelli, non nuovo a questo tipo di operazioni. Le pareti del Camerino secondo questa testimonianza «rappresentano specialmente e minutamente i fasti, le avventure e trasformazioni espresse e cantate nell’Eneide di Virgilio, divise e disposte in dodici quadrati a colore; la soffittura è piena di busti e teste coronate d’allori, che raffigurano gli antichi più celebri poeti, oltre altre otto Medaglie o siano Camei meravigliosamente dipinti a chiaro scuro sulla imitazione di Raffaello, che veramente sorprendono per l’ingegnoso lavoro, per l’esattezza e conservazione, sebbene contino tali opere una decorrenza di tempo oltrepassante due secoli. Per il taglio poi e trasporto di tutti questi Quadri in Pareti, e di molti altri pezzi ed altri preziosi fragmenti che formano una Galleria, e Scuola dell’ingegnoso dipingere del nostro Nicolò, la spesa in tutto e per tutto non oltrepasserà zecchini trenta». In un’altra lettera allegata allo stesso resoconto Pietro Termanini,22 Architetto Ducale e Ufficiale della Munizione delle Fabbriche, descrive il metodo da utilizzarsi per il distacco degli affreschi. Termanini afferma che le pareti del Gabinetto «essendo di matoni e non di sassi e di una testa sola e le pitture della sola larghezza di sedici oncie in circa, non v’è difficoltà veruna che non si possano tagliare a pezzo per pezzo rifacendo in gesso il muro tagliato per tagliarne con sicurezza l’altro pezzo superiore rifacendo sempre immediatamente il muro tagliato». Si ripete che «il Gabinetto suddetto è in un cattivissimo stato e minaccia ruina si per le ingiurie del tempo come per una recente scossa ricevuta da un fulmine scoppiato nella rocca, onde per non perdere codesta opera insigne di sì valente nostro pittor modenese credo sia bene a levarlo prima che ella di se stessa ruini e si perda».

L’operazione è poi approvata dalla «Segreteria di S.A.Ser.ma, Milano», che precisa come possa aver luogo «l’operazione proposta della segatura dei muri dipinti dal celebre Pittore Nicolò Abbate (...) semprechè condur si possa al suo fine con sicurezza di buon esito».23 In un’altra, non firmata, diretta a Vincenzo Fabrizi si dà atto dell’approvazione del progetto di distacco delle pitture e dello stanziamento della cifra di «trenta zecchini per l’intera operazione».

Interessantissima tra queste testimonianze è soprattutto la descrizione del Camerino, sino ad oggi sconosciuta, dalla quale si rileva l’accenno ad «altre otto Medaglie, o siano Camei meravigliosamente dipinti a chiaro scuro sulla imitazione di Raffaello». È possibile che la descrizione si riferisca in realtà alle vele, oggi perdute ma documentate dalle incisioni, raffiguranti figure femminili in atto di reggere il soffitto (ill. n° 21), ma le forme triangolari delle stesse difficilmente possono essere definite, nell’uso corrente, come “Medaglie o Camei”, termini con i quali solitamente si indicano immagini di forma ovata. Anche la descrizione secondo la quale «la soffittura è piena di busti e teste coronate d’allori», lascia supporre che tra il piccolo ottagono (di cm 70 di diametro) al centro del soffitto e le volte esistessero altre raffigurazioni andate successivamente perdute. In un documento datato 3 luglio 1772 si afferma che «si è posta mano al taglio dei muri dipinti del Gabinetto della Rocca di Scandiano»,24 e in un altro datato 6 luglio viene presentato il conto del falegname Felice Pini in cui si descrivono le spese sostenute per la fabbricazione delle casse per trasportare gli affreschi staccati. Questa bolletta segnala «otto sagome per li quadri del suffitto del Camarino dipinto», di «una cassetta», «tre casse sentinate», «11 casse per lunette», «11 casse per incassare li quadri a chiaro scuro», «12 casse grande per li quadroni», «un’altra cassa grande dopia», e «4 altre casse per il suddetto camarino».25

I dati sembrano contraddire quanto fino ad oggi ipotizzato riguardo al numero complessivo degli affreschi del camerino. Le casse costruite per le lunette risultano infatti undici e non dodici, e sarebbero undici anche i “quadri a chiaro scuro” che vengono imballati nei rispettivi contenitori. Questi ultimi possono essere identificati con le battaglie, ma dalla descrizione di Termanini sappiamo che anche nel soffitto vi erano “otto medaglie o camei dipinte a chiaro scuro”, la cui presenza è confermata dalle “sagome”, probabilmente intelaiature, realizzate dal falegname. La ricostruzione risulta complicata anche dalla citazione di diverse altre casse di cui non viene specificato il contenuto.26 Il 17 settembre del 1772, con una lettera indirizzata alla Camera Ducale, Vincenzo Fabrizi, riferisce che è stato ultimato il distacco eseguito sotto la direzione del Pantanelli, e chiede che venga emesso il mandato di pagamento.27 Pagamento a cui successivamente Pantanelli chiederà una aggiunta di cinque zecchini, in considerazione della difficoltà del lavoro e della ottima riuscita dello stesso.28 Purtroppo in queste testimonianze, pur doviziose di informazioni sul lavoro di “strappo” degli affreschi, non è stata ritrovata, a parte l’informazione riguardante non meglio precisati “medaglioni o camei” e il numero delle casse appositamente costruite per trasportare i dipinti a Modena, nessuna descrizione relativa all’ambiente dal quale veniva per sempre rimossa l’Eneide di Nicolò Dell’Abate.

Un documento individuato e pubblicato recentemente da Orianna Baracchi 29 permette di ricostruire la sistemazione data agli affreschi staccati da Scandiano all’interno della “Gran Sala” del Palazzo Ducale di Modena. Si tratta di un perizia redatta nel 1811 da Antonio Boccolari per descrivere lo stato dei dipinti e preventivare il costo di un eventuale restauro. Da questa dettagliata relazione che documenta i difetti e le ridipinture di ogni singolo dipinto si può ricavare la originale corrispondenza tra gli affreschi raffiguranti i Canti dell’Eneide e lunette soprastanti. Boccolari elenca dodici canti dell’Eneide, dodici lunette e dodici battaglie, mentre non fa alcun cenno alle vele delle volte che invece Venturi pubblicherà nell’in-folio del 1821.

Si è detto che è Giambatista Venturi che all’inizio dell’800 localizza per primo, citando vaghe testimonianze, il Camerino nell’ala est della rocca, tra il cortile interno e il giardino di ponente. In epoca recente anche Roberto Gandini 30 posiziona il Camerino in questa parte dell’edificio, basandosi su documenti notarili, e in particolare su un atto firmato «in arce Scandiani in camera versus Casalgrande contigua Camerino dipinto».31 Nessun documento aveva però permesso fino ad oggi di conoscere la precisa disposizione dell’ambiente all’interno della parte est del complesso, quella che nel corso degli ultimi due secoli ha subito più delle altre demolizioni e riadattamenti.

Il primo dei numerosi progetti realizzati da Giovan Battista Aleotti per Giulio Thiene, finalizzati all’ampliamento della rocca di Scandiano, ci consente finalmente di conoscere la conformazione dell’appartamento dei Boiardo all’interno del quale si trova il Camerino. In questo disegno, conservato a Ferrara presso la Biblioteca Ariostea 32 e databile tra il 1599 e il 1600,33 è rappresentata infatti, a differenza di tutti i progetti successivi, anche l’ala est della rocca.34 La pianta di Aleotti (ill. n° 3) mostra nell’ala est due grandi camere principali: la prima è posizionata in fronte alla galleria, che all’epoca ha dimensioni più contenute rispetto alle attuali, e a questa fa seguito un’altra camera che comunica con due ambienti più piccoli. Il primo appare come un piccolo “andavino” che mette in comunicazione la camera centrale dell’appartamento con un’altra a nord dalla quale si accede poi alla scala.35 Il secondo ambiente invece riproduce in modo abbastanza fedele il Camerino di Nicolò Dell’Abate nella forma già ricostruita da Giambatista Venturi.

Il Camerino si rivela così un ambiente a pianta rettangolare, con due finestre che si affacciano a est, e una sola porta che mette in comunicazione con la camera centrale dell’appartamento, probabilmente quella del conte Giulio Boiardo. Un incavo tra gli strombi delle due finestre fa apparire probabile la presenza di un camino, mentre l’esistenza di aperture viene confermata dall’osservazione diretta condotta sulla parete esterna dell’ala est, nella quale sono riconoscibili con particolare evidenza le tracce di due finestre tamponate nell’esatta posizione indicata dalla pianta di Aleotti (ill. n° 28). Ciò conferma l’attendibilità del rilievo grafico seicentesco che permette di ricostruire le dimensioni dell’ambiente: metri 4 x 5 circa.36 Questo pur considerando una inevitabile approssimazione, non trattandosi infatti di un progetto definitivo ma di un disegno che appare finalizzato ad esporre diverse, e in certi casi contraddittorie, proposte di demolizioni e nuove edificazioni.

In base a queste inedite risultanze si è così tentata una ricostruzione del camerino nella quale le misure ed il numero degli affreschi di Nicolò dell’Abate fossero “compatibili” con quelle dell’ambiente rappresentato nella pianta di Aleotti.

Risulta evidente dal confronto tra i diversi affreschi la maggiore larghezza dei primi due “canti” dell’Eneide: rispetto ai rimanenti. Particolarità questa che mi ha fatto pensare ad una loro probabile collocazione, assieme al terzo, oggi perduto, nella parete ovest, alla sinistra di chi entra. Sulla parete seguente (nord) sono dislocati i quattro successivi, larghi circa 85 cm.; l’ottavo canto, l’unico nella parete est, è posizionato tra le due finestre. Nell’ultima parete, a sud, ritornando verso la porta, sono disposti gli ultimi quattro affreschi che presentano di nuovo una base di 85 centimetri.

Tra una scena e l’altra dell’Eneide rimangono, per i probabili fregi decorativi, circa 25 cm. Si è ipotizzato anche uno zoccolo non decorato, che Venturi afferma essere «tre quarti di metro d’altezza», sopra al quale si trovano le battaglie monocrome. In questo modo l’altezza da terra delle scene dell’Eneide, e quindi della porta d’ingresso risulta di circa 180 cm. Le dimensioni delle battaglie (da 42 a 57 cm di base, per 80 cm di altezza) fanno supporre una loro probabile collocazione a coppie al di sotto dei quadri principali, oppure la presenza di altri elementi decorativi laterali nel caso che ad ogni canto dell’Eneide corrispondesse in basso una sola battaglia. L’altezza del camerino in questa ricostruzione risulta essere, sommando le altezze di zoccolo, battaglie, canti dell’Eneide e lunette, di circa metri 3,50; la medesima delle altre stanze che si trovano sullo stesso piano nell’ala a nord-est. Una di queste, chiamata nell’inventario del 1620 “il Pavaglione” (tav. 3, n°5), è l’unica che conserva ancora il soffitto a volte.

Le incisioni di Antonio Gajani e Giulio Tomba, pubblicate nell’in folio del 1821 e che si basano su disegni realizzati dall’accademico pontificio bolognese Giuseppe Guizzardi prima dell’incendio del 1815, confermano la non trascurabile differenza tra la misura della base dei primi tre canti e dell’ottavo (oltre un metro) e quella di tutti gli altri (circa 85 cm). L’ottavo canto dell’Eneide oggi misura circa 88 cm, ma in origine doveva avere una maggiore larghezza, probabilmente la stessa dei primi tre che si trovavano sulla parete di fronte. Appare evidente infatti la scomparsa di una decina di centimetri circa nella parte destra, dove l’incisione raffigura chiaramente alcune navi, e di altri 3-4 cm lungo il lato sinistro (ill. n° 11).

Un esame sugli affreschi, effettuato durante il recente restauro, conferma ulteriormente l’ipotesi; l’ottavo canto appare infatti tagliato lungo i lati destro e sinistro. Differente lo stato degli altri dipinti, nessuno dei quali presenta evidenti segni di mutilazione; quasi tutti anzi conservano il contorno dell’originale riquadratura e tracce di un motivo decorativo color ocra che scandiva la successione delle scene.

Il confronto tra le lunette rivela inoltre la notevole differenza tra un gruppo di otto, dai soggetti e dallo stile più uniformi, e le due denominate Allegoria della pace e Tre ritratti. L’Allegoria (ill. n° 18) pare ottenuta dalla rielaborazione di un fregio di tutt’altro genere. Nelle parti a destra e a sinistra sono infatti evidentissime le aggiunte, mentre lo stile della raffigurazione, che si discosta notevolmente da quello delle altre lunette, appare simile a quello di un affresco (ill. n° 22) che fa parte di una serie di cinque frammenti di un fregio a colori riportati su tela e in stato di cattiva conservazione o addirittura “rovinatissimi”. Oltre a questi, presso la stessa Galleria Estense, è conservata una altra serie di quattro frammenti di un fregio a chiaroscuro “certamente di mano di Nicolò, raffigurante episodi di storia romana non ancora individuati».37 Infine, anche l’altra lunetta, che raffigura tre volti che sbucano da un cielo nuvoloso (ill. n° 17), risulta certamente composta da frammenti di altre composizioni. I tre ritratti infatti presentano strette consonanze con quelli dell’ottagono del soffitto e sembrano ricavati da dipinti di piccole dimensioni. Pallucchini descrive queste lunette (e solo queste due) come “rifacimenti”,38 e l’ipotesi più attendibile è che si possa trattare di elementi staccati dal soffitto o da altri luoghi del Camerino, ricomposti in questa foggia per sostituire alcune delle originali lunette andate distrutte.

In questa ricostruzione del Camerino ho ipotizzato infatti la presenza di altri elementi decorativi posizionati, oltre che nel soffitto, sopra le finestre. È possibile che, a causa della loro originale collocazione sulla parete est del Camerino, dove le finestre e il camino possono essere stati soggetti ad infiltrazioni di umidità, questi elementi si presentassero al momento del distacco particolarmente danneggiati. Trasportati a Modena assieme ad altri frammenti possono essere stati poi utilizzati per dar vita a nuove composizioni o accantonati a causa del loro cattivo stato di conservazione. Anche la mutilazione subita dall’ottavo canto, lungo i lati destro e sinistro, i più esposti alle infiltrazioni provenienti dalle due finestre, sembra confermare il degrado di questa parete del Camerino.39

A questo punto rimane da localizzare la sala del Paradiso, dove erano disposte le vele con i Musicanti e il grande affresco raffigurante Il convito di Amore e Psiche. I documenti d’archivio che possono rivelarsi maggiormente utili nella ricostruzione della pianta dei palazzi sono gli inventari, atti che venivano redatti soprattutto per documentare e valutare i possedimenti dei feudatari in occasione di successioni ereditarie, e che consentono quasi sempre di riconoscere, seguendo sulle piante degli edifici il percorso compiuto dai compilatori, gli ambienti descritti.

Un atto relativo alla rocca di Scandiano, già noto dagli studiosi,40 è l’ «Inventario di tutti i beni dell’eredità del marchese Giulio Thiene ordinato dal figlio marchese Ottavio», conservato presso l’Archivio di Stato di Reggio Emilia.41 Questo documento ha permesso di verificare, oltre alla descrizione dei mobili, dei paramenti e delle suppellettili esistenti nella rocca alla morte del marchese Giulio Thiene, anche l’itinerario percorso per catalogare i beni contenuti nei vari ambienti. La camera indicata come “Paradiso” viene descritta dopo la “Sala Grande” e la “camera detta della chiesa”. Dopo il Paradiso seguono poi la “camera presso il Paradiso”, poi una “2ª camera detta il Pavaione” e una “3ª camera”.

Altri documenti, successivamente reperiti presso l’Archivio di Stato di Modena nei fondi “Amministrazione della Casa” e “Amministrazione dei Principi”, vengono a confortarci nella ricerca. Si tratta di cinque inventari (due sono i brogliacci da cui si è stata poi ricavata la stesura definitiva), risalenti agli anni tra il 1666 e il 1673, all’epoca in cui Scandiano è assegnata in feudo a Luigi d’Este Juniore. Nella “Cassa Segreta” sono inoltre conservati altri due inventari, redatti nel 1750 42 e 1752.43 Una ricerca presso l’Archivio di Stato di Ferrara, e più precisamente nei fondi dell’Archivio Bentivoglio, ha poi permesso di reperire altri cinque inventari, molto più precisi di quelli precedenti, risalenti in questo caso al periodo tra il 1634 e il 1640.44

Un ultimo documento che fornisce preziosi ragguagli sulla disposizione degli ambienti all’interno della rocca è il manoscritto Supplemento alla Cronaca di Scandiano redatto intorno al 1740 da Francesco Morsiani. Lo storico scandianese, trascrivendo una “memoria” del concittadino Livio Pegolotti, racconta l’arrivo a Scandiano nel novembre del 1620 del Marchese Ottavio II Thiene. Nel descrivere l’accoglienza tributata al nuovo feudatario dalle autorità e dalla popolazione scandianesi vengono elencati i doni portati in corteo da un gruppo di persone che, dopo aver attraversato il cortile della rocca e le scale arriva «in sala, (...) e poi nella camera di esso Sig. Marchese che è in capo alla Sala all’incontro di quella del Paradiso e voltarono poi per quelle altre camere che guardano in Rocca Vecchia e tornarono nell’istessa Sala per l’uscio vicino a quello di detta Sala e furono poi portate in dispensa et alla beccaria».45

Dall’esame di questi documenti è stata così estratta una cospicua serie di indicazioni sulla disposizione degli ambienti oggetto di studio:

Il Paradiso si trova in capo alla Sala, di fronte all’ingresso della camera del Marchese, dalla quale si passa in altre stanze che guardano in Rocca Vecchia.
Da queste ultime stanze si può tornare alla Sala. (indicazioni tratte dal documento più antico, 1620).
Dopo l’anticamera dove è la cappellina si passa nelle camere della Scaiola, poi in quella detta Trota o Trotta.
Dalla camera Trotta detta anche camera del cantone, quindi una camera d’angolo, si entra in una camera nuova verso la chiesa dalla quale si accede sia al Paradiso che ad un’altra camera nuova e da quest’ultima ad una Saletta (o Sala).
Dalla Galleria si entra in una Saletta, poi nella camera che fu fatta di nuovo dal Marchese, poi in una camera che guarda al derimpetto della chiesa e di qui al Paradiso.
Il Paradiso si trova immediatamente ad est della camera che guarda verso la chiesa.
Il Paradiso negli inventari redatti tra il 1634 e il 1643 è descritto come un appartamento formato da quattro camere.
Dopo le quattro camere denominate Il Paradiso, procedendo verso est, si arriva alle camere dei Bojardi che contengono il Camerino dipinto.
Dal Paradiso si accede ad altre tre stanze procedendo verso mattina, e da queste ad una scaletta, posta certamente in una posizione d’angolo perchè da qui si può entrare in una camera successiva che «è in fronte alla scaletta andando verso il monte» (quindi verso sud).
Vicino al Camerino dipinto si trova un altro camerino.
Da una camera vicina al Camerino delle pitture si passa nella Galleria, e da qui alla Sala e ai Cameroni contigui.
Nella stanza chiamata Camerino, a parte una tavola di noce con scranini o un uomo di terracotta, non si trova mai alcun altro oggetto o elemento di mobilio.

Questa serie di “indizi” e il confronto incrociato operato su tutti gli inventari hanno permesso, insieme alla documentazione planimetrica fornita da varie piante della rocca,46 di ricostruire la successione degli ambienti, attribuendo a questi anche le diverse denominazioni che assumono in rapporto alla ubicazione o a particolari arredi. Viene in tal modo dimostrata la collocazione del Camerino nell’ala est, all’interno di un appartamento composto da tre stanze principali, mentre la camera denominata “Il Paradiso” risulta essere, secondo quanto indicato da tutti gli inventari, quella situata sopra l’ingresso nord della rocca. Il Paradiso comunica verso ovest con la “camera che guarda verso la chiesa” e verso est con tre ambienti minori (oggi due in seguito a demolizioni), chiamati in alcuni inventari “Camerini del Paradiso”, che conducono all’appartamento dei Boiardo. Contrariamente a quanto ipotizzato da precedenti studi che attribuivano al Paradiso grandi dimensioni, questo ambiente risulta essere in realtà una camera di metri 8 x 4,80, non dissimile dunque da molte altre sale della rocca. La presente ricostruzione, ha una ulteriore conferma dai numerosi manoscritti, appunti e disegni relativi gli affreschi di Scandiano, redatti nei primi anni del diciannovesimo secolo da Giambattista Venturi.47 Tra questi è di particolare interesse un fascicolo contenente due schizzi a matita. Nel primo, ormai quasi illeggibile, è raffigurata schematicamente la pianta della parte della rocca tra l’ingresso e l’angolo nord-est, e nella prima camera si può osservare la scritta «Psiche»; nel secondo disegno è rappresentata in modo più nitido la pianta di una stanza contornata da numerose voltine e nella quale si trova un camino. Indicano le dimensioni dell’ambiente due numeri, 9 e 15, seguiti da un segno illeggibile. Moltiplicando queste misure per il “braccio reggiano” cioè metri 0,538 si ottengono infatti 4,84 x 8,07 metri, ovvero le misure esatte della camera in questione. Nel disegno sono inoltre indicate venti vele delle volte, all’interno delle quali sono schizzate in modo approssimativo le figure dei musicanti.

La perdita di metà dell’affresco e di alcune vele dipinte da Nicolò dell’Abate è con buona probabilità dovuta a crolli e demolizioni che nella seconda metà del secolo diciottesimo interessano le adiacenze della camera del Paradiso. Nel 1772 infatti deve essere ricostruita la parete «in faccia alla chiesa maggiore, che si era staccata affatto dal rimanente del fabbricato»,48 e traccie di questo crollo sono ancora visibili nel muro della camera adiacente al Paradiso, verso ovest (ill. n° 2). Nel 1774 viene invece demolito «il piccolo torrione posto sopra l’entrata della rocca di Scandiano, che minaccia di cadere»,49 torrione che doveva quindi trovarsi sopra la camera del Paradiso. Probabilmente si tratta della torretta che compare con evidenza, assieme alla “torre vecchia” della rocca di Scandiano (demolita all’epoca dei Bentivoglio, 1634-1643) nella lunetta di Nicolò Dell’Abate definita Corteo principesco.

Mancano notizie certe, contrariamente al Camerino, dei lavori di distacco degli affreschi dalla camera del Paradiso. È stato ipotizzato che Antonio Boccolari, docente presso l’Accademia modenese e “ristoratore di quadri” possa aver eseguito il distacco.50 Un esame sui documenti dell’Archivio Boccolari permette però di identificare con sicurezza le parti della rocca oggetto dell’intervento di “strappo” effettuato nel 1804, cioè la parete nord del cortile e l’interno dell’ala est, sopra le finestre che guardano nello stesso cortile.51 É probabile quindi che il distacco degli affreschi dalla camera del Paradiso sia stato eseguito tra il 1787, anno in cui termina la compilazione dell’archivio di Cassa Segreta (nella quale non compare alcun accenno ai dipinti che decoravano questa camera) e il 1804, quando, grazie alla testimonianza di Boccolari, possiamo affermare che nella rocca non rimangono più che scarsissime tracce dell’antico fastoso apparato decorativo.


NOTE

1 Secondo recenti studi critici (G. Godi, Nicolò dell'Abate e la presunta attività del Parmigianino a Soragna, Parma, 1976, p.15) quest’ultimo dipinto, a differenza degli affreschi delle vele, non è da attribuirsi a Nicolò ma ad un suo seguace a tutt’oggi anonimo.

2 I dipinti che decoravano il cortile d’onore sono oggi completamente perduti e ne rimane traccia solo in due incisioni di Antonio Gajani pubblicate da Giambatista Venturi nel volume Storia di Scandiano (Reggio. E. 1822) e in alcuni schizzi a matita ed a penna conservati tra i manoscritti dello stesso Venturi (B.M.P.RE., Ms. Regg. A 53).

3 C. Cieri Via, Il luogo della mente e della memoria, prefazione in W. Liebenwein, Studiolo, storia e tipologia di uno spazio culturale, Modena, 1988, p. XI.

4 O. Baracchi, Ricerche di storia artistica reggiana, Reggio Emilia, 1993, p. 13-16.

5 S. Beguin, Mostra di Nicolò Dell’Abate, Bologna, 1969, p. 53.

6 M. Pirondini, La pittura del Cinquecento a Reggio Emilia, Milano, 1985, p. 139.

7 D. Cuoghi, La rocca di Scandiano nei progetti di Giovan Battista Aleotti; dalla rocca dei Boiardo al palazzo dei Thiene e dei Bentivoglio, Tesi di laurea, relatore Prof. Marcello Fagiolo, Università di Firenze, Facoltà di Architettura, AA 1991-92.
D. Cuoghi, La rocca di Scandiano nei progetti di Giovan Battista Aleotti, in “Atti e Memorie”, n° 11, Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, Modena, 1994.

8 A. Venturi, La Reale Galleria Estense di Modena, Modena, 1883, p. 327

9 L’Eneide di Virgilio dipinta in Scandiano dal celebre pittore Niccolò Abati, Modena, per Vincenzi e Compagno, M.DCCC.XXI.

10 B.M.P.RE., Ms. Regg. A 56, G. Venturi, Manoscritti relativi all’Eneide dipinta da Nicolò dell’Abate.

11 Venturi cita infatti la testimonianza di uno scandianese che asserisce di avere visitato l’ambiente prima della demolizione. Su questa descrizione lo stesso Venturi avanza però delle perplessità in quanto il testimone sarebbe persona «priva di cultura nelle scienze e sembra non ricordi troppo bene i fatti».

12 R. Gandini, I luoghi del Gabinetto dell’Eneide e del Convito nunziale di Amore e Psiche nella Rocca di Scandiano, in La rocca di Scandiano e gli affreschi di Nicolò Dell’Abate, Reggio E. 1981

13 Ibidem, p. 87.

14 W. Liebenwein, Studiolo, storia e tipologia di uno spazio culturale, Modena, 1988, p. 85

15 Ibidem p. 86

16 E. Langmuir, Arma Virumque... Nicolò Dell’Abate Aeneid Gabinetto for Scandiano, in “Journal of the Courtald and Warburg Institute”, 1976, Vol. 39, p. 151-170.

17 Ibidem, p. 153

18 Ibidem.

19 R. Parma Baudille, I Cicli dell’Eneide, Scandiano, Rocca, Gabinetto di Giulio Boiardo, in Virgilio nell’arte e nella cultura europea, Roma, 1981, p. 125

20 F. Valenti, Panorama dell’Archivio di Stato di Modena, Modena, 1963.

21 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta n° 34796, 18 giugno 1772.

22 Per approfondire la figura di Pietro Termanini: cfr. scheda biografica in Gli Architetti del pubblico a Reggio Emilia, dai Bolognini ai Marchelli, catalogo della mostra, Reggio E. 1990, p. 303.

23 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta n° 34796, 24 giugno 1772.

24 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta n° 34690, 3 luglio 1772.

25 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta n° 34846, 6 luglio 1772

26 È possibile però verificarne il prezzo, confrontandolo con quello delle altre casse, in modo da avere una indicazione sulle misure di queste in rapporto alle altre. Le “tre casse sentinate” costano £30, quindi £10 cadauna, risultando più grandi, o più elaborate, di quelle che contenevano i canti dell’Eneide, costate ognuna £8. Mentre le “quattro altre casse” vengono fatturate complessivamente £16, quindi £4 ognuna, rivelandosi di dimensioni minori rispetto a quelle delle lunette e dei chiaroscuri costate £5. La cassa grande doppia costa invece £16 confermando così l’effettiva grande capienza. Non viene citata una cassa realizzata in modo specifico per il piccolo ottagono del soffitto (cm 70 di diametro), e non è possibile immaginarlo all’interno della cassa doppia, la più grande di tutte; così si può ipotizzare che questo venisse posto in quella definita “cassetta”. Vengono citate “otto sagome per li quadri del suffitto” costate in totale solo £5, probabilmente intelaiature o elementi preparatori per il distacco di questi dipinti. Rimane da considerare il possibile contenuto delle “tre casse sentinate”, che si sono rivelate abbastanza grandi e costose. Queste essendo centinate potevano contenere elementi decorativi dalla forma curvilinea, come ad esempio le vele del soffitto, finora non citate.

27 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta n° 34796, 18 giugno 1772.

28 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta n° 34820, 9 ottobre 1772.

29 O. Baracchi, Ricostruzione del Camerino dell’Eneide, in Ricerchhe di storia artistica reggiana, Reggio E. 1993.

30 R. Gandini, op. cit., p. 91

31 A.S.RE., Archivio notarile G.B. Galletti, b. 483.

32 B.A.Fe., H5, Raccolta Aleotti, n° 160-161. La presenza di questi due disegni all’interno della Raccolta Aleotti, fatto che ha “attivato” la mia ricerca finalizzata alla tesi di laurea in architettura, mi è stata segnalata nel 1986 da Vincenzo Vandelli, che desidero ringraziare per la cortesia e l’aiuto prestatomi durante tutta la ricerca.

33 È possibile datare il progetto in base a una lettera di Aleotti datata 19 dicembre 1599, nella quale l’architetto afferma che a Ferrara «dormono le cose come al solito, et quando vi sarà il marchese di Scandiano spero mandargli il disegno de la rocha che quest’huomo pensa di fare» (A.S.Mo. Archivi per materie, Ingegneri, busta n° 1, Aleotti).

34 Che si tratti della rappresentazione del primo piano è confermato, oltre che da numerosi particolari relativi ad ambienti censiti negli inventari, anche dal confronto con altre piante che raffigurano il piano terreno della rocca (A.S.Mo., Mappe e disegni, Topografie di città, n° 40, Pianta della Rocca di Scandiano, Progetto, circa 1615. Schizzo sul retro del disegno).

35 Le dimensioni di questo ambiente, e soprattutto la presenza all’epoca di una grande finestra doppia affacciata sul cortile interno, portano ad escludere la possibilità di una sua identificazione con il Camerino dipinto. La presenza di finestre in quel punto è documentata oltre che dai recenti restauri eseguiti nel cortile della rocca anche da documentazioni fotografiche risalenti ai primi decenni di questo secolo. Queste fotografie (A.F.S.Mo., Vol. CXLII - 143-144) mostrano con evidenza come le grandi finestre architravate, oggi aperte soltanto sul lato sud, fossero presenti anche sui lati est e ovest del cortile.

36 Queste misure potrebbero apparire troppo grandi per un ambiente definito “camerino”, se rapportate all’uso odierno, ma se osserviamo la pianta dell’edificio (tav. II) possiamo notare come in effetti il “camerino” sia una delle stanze più piccole.

37 R. Pallucchini, I dipinti della Galleria Estense di Modena, Roma, 1945 , p.56.
Uno degli episodi di storia romana raffigurati (ill. n°...) potrebbe riferirsi alla vicenda di Coriolano che, passato nelle file dei Volsci che combattono contro Roma, viene raggiunto dalla madre e dalla moglie che cercano di convincerlo a ritirarsi.

38 Ibidem, p. 53-54.
La recente pubblicazione da parte di O. Baracchi della perizia redatta nel 1811 da Antonio Boccolari sui dipinti del Camerino conferma la natura apocrifa di queste due lunette (vedi nota n° 30).

39 Le diverse relazioni redatte dagli intendenti ducali responsabili della rocca scandianese all’epoca del distacco degli affreschi documentano sia le precarie condizioni del complesso che i numerosi lavori eseguiti per riparare tetti e finestre. Queste ultime risultano quasi del tutto danneggiate se non addirittura mancanti, tanto che «le piogge o nevi spesso dall’impeto dei venti spinte per quelle aperture consumavano i pavimenti e rendevano inabitabili simili siti meritevoli degli opportuni ripari» (A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta, n° 38854, 1 giugno 1780).

40 R. Gandini, Lo stato di Scandiano e la corte di Giulio Boiardo nella prima metà del secolo XVI, in La Rocca di Scandiano e gli affreschi di Nicolò Dell’Abate, Reggio Emilia, 1981, p.78.
G. Prampolini, Gli affreschi di Nicolò Dell’Abate, in La Rocca di Scandiano..., cit., p. 108

41 A.S.RE., Arch. Notarile Ippolito Bertolotti, b. 3529, 1620.

42 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta, n° 27302, 1750.

43 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta, n° 27303, agosto 1752.

44 A.S.Fe. Archivio Bentivoglio, Patrimoniale, Lib. 130-1.

45 B.M.P.RE., Archivio Turri, C 38, F. Morsiani, Supplemento alla Cronaca di Scandiano di messer Geminiano Prampolini, 1740 circa.

46 In particolare sono risultate utili quelle realizzata nel 1623 da Antonio Vacchi per documentare lo stato dei lavori al momento della morte del marchese Ottavio II Thiene (A.S.Mo. Mappe e disegni, Grandi mappe, n° 107, Pianta parziale della rocca di Scandiano, cm. 144x76), ed il rilievo di Pietro Marchelli del 1831 (A.S.RE. Archivio Marchelli, n° 1784-87).

47 B.M.P.RE., Ms. regg. A 53, G. Venturi, Scandiano

48 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta n° 34757

49 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta n° 35650

50 O. Baracchi, Il modenese Antonio Boccolari e l’arte di strappare gli affreschi dal muro, in “Atti e Memorie, Deputazione di Storia Patria”, serie XI, vol. VI, Modena, 1984.

51 Boccolari scrive infatti da Scandiano nel Maggio del 1804, esultando perchè «finalmente, dopo molte inutili ricerche per ritrovare un qualche dipinto in muro per tentare di levarlo, e così maggiormente assicurarmi delle sperienze da me fatte, mi sono portato a Scandiano, e visitatane attentamente il Palazzo, tra qualche ruina di pitture ho ritrovato un qualche pezzolo sul quale mi sembra che il tentar di levarlo non fosse per riuscire vano». Boccolari prosegue affermando che «tutte le migliori pitture di Nicolò dell’Abate che vi ritrovansi furon depositate a Modena e a Sassuolo, di modo che ora non vi sono che pezzi sconnessi, rovinati, che non potranno giammai servire a cosa alcuna» e chiede alle autorità competenti di poter effettuare il distacco di alcuni di questi frammenti rimasti. Nel giugno dello stesso anno il Prefetto del Dipartimento del Crostolo approva la proposta così che il 3 luglio Boccolari si può recare all’interno della rocca, per un esame più approfondito di questi affreschi rimasti, assieme ad alcune altre persone incaricate dal Municipio di Scandiano tra le quali figura un notaio che compila una dichiarazione ufficiale.
Secondo quest’ultimo documento «nel piano superiore di essa rocca, nel fabbricato posto a levante e che guarda con due finestre a ponente, nella corte predetta,[...] ad indicazione del cittadino Boccolari si osservarono nel fregio superiore della camera in giorno senza soffitto e ridotta ad uso di granaio, alcune testine dipinte da Niccolò Abbate e diversi altri ornati opera dei di lui scolari, di colore quasi perduto affatto e per la massima parte resi imperfetti dalle intemperie e dalla stagione e dai patimenti notabili causati dall’incuria dei muratori fabbricantivi sopra e che hanno lasciata cadere a grande la calcina sui dipinti stessi». Successivamente le stesse persone passano ad osservare gli affreschi rimasti nella parete nord del cortile, che rappresentano «un guerriero sedente in trono con diversi consiglieri a lato, un militare pure sedente ai piedi del primo, un incendio di fabbricato ed una donna colpita da spavento in atto di fuggire con un fanciullo che tiene per mano» e «una statua colossale in nicchia, sottostante al precedente dipinto a color chiaro scuro verde rappresentante una donna che tiene nella mano sinistra una testa per i capelli sopra un vaso e nella mano diritta una sciabola in alto. Ha il capo volto all’indietro in aspetto piuttosto truce».
I frammenti definiti “alcune testine” notati da Boccolari nell’ala est della rocca e descritti come “di colore quasi perduto affatto” non possono essere identificati con le sedici figure di musicanti delle vele del Paradiso, che presentano dimensioni ragguardevoli (cm 96x72 circa). Si tratta quindi di piccoli elementi pittorici che facevano parte della decorazione delle camere dei Boiardo, all’epoca sventrate e ridotte a granaio, come documenta il rilievo eseguito da Pietro Marchelli nel 1831 (A.S.RE. Archivio Marchelli, n° 1785).


Altri studi di Diego Cuoghi su Scandiano: www.diegocuoghi.it/scandiano