------------I protocolli dei Savi di Sion----------- 2

 

Umberto Eco

da "Protocolli Fittizi"

(in "Sei passeggiate nei boschi narrativi")

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È facile capire perché la finzione narrativa ci affascina tanto. Ci offre la possibilità di esercitare senza limiti quella facoltà che noi usiamo sia per percepire il mondo sia per ricostruire il passato. La finzione ha la stessa funzione del gioco. Come ho già detto, giocando, il bambino apprende a vivere, perché simula situazioni in cui potrebbe trovarsi da adulto. E noi adulti attraverso la finzione narrativa addestriamo la nostra capacità di dare ordine sia all’esperienza del presente sia a quella del passato.

Ma se l’attività narrativa è così strettamente legata alla nostra vita quotidiana, non potrebbe accadere che noi interpretiamo la vita come finzione e che nell’interpretare la realtà vi inseriamo elementi finzionali?

C’è un esempio terribile, in cui tutti potevano accorgersi che si trattava di finzione, perché erano evidenti le citazioni da fonti romanzesche, e tuttavia molti hanno tragicamente preso quella storia come se fosse Storia.

La costruzione della nostra vicenda inizia molto indietro, sin dall’inizio del XIV secolo, quando Filippo il Bello distrusse l’Ordine dei Templari. Da quel momento in avanti non si era cessato di favoleggiare sulla sopravvivenza clandestina dell’ordine, e ancora oggi su quest’argomento potete trovare decine di libri nelle librerie dedicate alle scienze segrete e occulte. Nel XVII secolo nasceva un’altra storia, quella dei RosaCroce, una confraternita che appare sulla scena storica in quanto viene descritta dai Manifesti Rosacrociani (Fama, 1614, Confessio, 1615). Gli autori o l’autore dei manifesti rimangono formalmente ignoti, anche perché coloro a cui vengono attribuiti ne negano la paternità. I manifesti suscitano una catena di interventi da parte di personaggi che sostengono l’esistenza della confraternita, e affermano di volervi ardentemente appartenere. Malgrado alcuni accenni, nessuno afferma di appartenervi, perché il gruppo è segreto, e il comportamento abituale degli scrittori rosacrociani è affermare di non essere rosacrociani. Questo implica che, per definizione, tutti coloro che hanno in seguito affermato di esserlo, certamente non lo sono. Di conseguenza, non solo non esistono prove storiche dell’esistenza dei Rosa-Croce, ma per definizione non possono esisterne, e Heinrich Neuhaus nel XVII secolo poteva dimostrare la loro esistenza solo grazie a questo straordinario argomento: "Per il semplice fatto che essi cambiano e nascondono il loro nome, mentono sulla loro età, e che per loro stessa ammissione vengono senza farsi riconoscere, non vi è persona con un poco di logica che- possa negare che necessariamente occorre che essi esistano." Eppure nei secoli successivi abbiamo visto pullulare gruppi esoterici che, in polemica reciproca, si definiscono i soli e veri eredi dei Rosa-Croce originari, assumendo di possedere documenti inoppugnabili che però, siccome sono segreti, non possono essere mostrati a nessuno.

In questa costruzione romanzesca si è inserita nel XVIII secolo la Massoneria detta "occultista e templare", che non solo faceva risalire le proprie origini ai costruttori del Tempio di Salomone, ma inseriva nel mito delle origini il rapporto tra i costruttori del Tempio e i Templari, la cui tradizione segreta sarebbe pervenuta alla massoneria moderna attraverso la mediazione dei Rosa-Croce.

Su queste società segrete, e sul fatto che esistessero dei Superiori Sconosciuti che dirigevano il destino del mondo, si discute a lungo prima della rivoluzione francese. Nel 789 il Marchese di Luchet avverte che "si è formata in seno alle tenebre più dense una società di nuovi esseri che si conoscono senza essersi mai visti... Questa società adotta del regime gesuitico l’obbedienza cieca, della massoneria le prove e le cerimonie esteriori, dei Templari le evocazioni sotterranee e l’incredibile audacia."

Tra il 1797 e il 1798, in risposta alla rivoluzione francese, l’Abate Barruel aveva scritto i suoi Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme, un libro apparentemente storico che però si legge come un romanzo d’appendice. Esso inizia, naturalmente, coi Templari.

Dopo il rogo del gran maestro Jacques de Molay, essi si trasformano in una società segreta per distruggere la monarchia e il papato, e creare una repubblica mondiale. Nel XVIII secolo essi s’impadroniscono della Massoneria e creano una sorta di accademia i cui diabolici membri sono Voltaire, Turgot, Condorcet, Diderot e d’Alembert - e da questo cenacolo prendono origine i Giacobini. Ma gli stessi Giacobini sono controllati da una società ancor più segreta, quella degli Illuminati di Baviera, regicidi per vocazione. La rivoluzione francese è stata l’effetto finale di questo complotto.

Lo stesso Napoleone fu incuriosito da questa setta clandestina, e chiese un rapporto a Charles de Berkheim che, come fanno di solito spie e informatori segreti, ricorse a fonti pubbliche e comunicò a Napoleone, come rivelazione inedita, tutto quello che l’imperatore avrebbe potuto leggere nei libri del Marchese di Luchet o dell’Abate Barruel. Sembra che Napoleone rimanesse così affascinato da queste straordinarie descrizioni circa il potere ignoto di un direttorio di Superiori Sconosciuti, capaci di governare il mondo, che fece il possibile per mettersi in contatto con loro.

Il libro di Barruel non conteneva alcun riferimento agli ebrei. Ma nel 1806 Barruel ricevette una lettera da un certo capitano Simonini che gli ricordava come Mani e il Veglio della Montagna (notoriamente alleati dei Templari originari) fossero ebrei anch’essi, che la massoneria era stata fondata da ebrei, e che gli ebrei si erano infiltrati in tutte le società segrete. Sembra che la lettera di Simonini fosse stata forgiata da agenti di Fouché, il quale era preoccupato dei contatti di Napoleone con la comunità ebraica francese.

Barruel fu preoccupato dalle rivelazioni di Simonini e pare avesse affermato privatamente che a pubblicarla si sarebbe corso il rischio di un massacro. Di fatto egli scrisse un testo dove accettava l’idea di Simonini, poi lo distrusse, ma la voce si era ormai diffusa. Questa voce non produsse effetti interessanti sino alla metà del secolo, quando i gesuiti iniziarono a preoccuparsi degli ispiratori anticlericali del Risorgimento, come Garibaldi, che erano affiliati alla massoneria. L’idea di mostrare che i Carbonari erano gli emissari di un complotto giudeo-massonico appariva polemicamente fruttuosa.

Ma gli stessi anticlericali, sempre nel XIX secolo, tentarono di diffamare i Gesuiti, per mostrare che altro non facevano che complottare contro il bene dell’umanità. Più che alcuni scrittori "seri" (da Michelet e Quinet a Garibaldi e Gioberti), l’autore che rese popolare questo motivo fu un romanziere, Eugène Sue. Ne L`ebreo errante il malvagio Monsieur Rodin, quintessenza della cospirazione gesuitica, appare chiaramente come una replica dei Superiori Sconosciuti di clericale memoria. Monsieur Rodin rientra in scena nell’ultimo romanzo di Sue, I misteri del popolo, dove l’infame piano gesuitico viene esposto nei minimi dettagli in un documento inviato a Rodin (personaggio romanzesco) da padre Rothaan, Generale della Compagnia (e personaggio storico). E, infine, ecco che ritroviamo ne I misteri del popolo un altro personaggio romanzesco, Rodolfo di Gerolstein, che vi migra dai Misteri di Parigi (un vero libro di culto, tale che migliaia di lettori scrivevano lettere ai suoi personaggi). Rodolfò entra in possesso della lettera di padre Rothaan e ne rivela il contenuto ad altri ferventi democratici: "Vedete bene, caro Lebrenn, con quanta astuzia è stato organizzato questo complotto infernale, quali sciagure spaventevoli, quale genere di orrenda schiavitù, quale destino di dispotismo esso significhi per l’Europa, se per avventura si realizzasse..."

Dopo che sono apparsi i romanzi di Sue, nel 1864 un certo Maurice Joly scrive un libello di ispirazione liberale contro Napoleone III, in cui Machiavelli, che rappresenta il cinismo del dittatore, parla con Montesquieu. Il complotto gesuita descritto da Sue (insieme alla formula classica per cui il fine giustifica i mezzi), viene ora attribuito da Joly a Napoleone III, e ho trovato almeno sette pagine, se non di plagio vero e proprio, almeno di ampie e inconfessate citazioni. Joly fu arrestato, subì quindici anni di prigione, e alla fine si uccise. Exit Joly, ma lo ritroveremo tra poco.

Nel 1868 Hermann Goedsche, un impiegato delle poste tedesche, che aveva già pubblicato altri libelli manifestamente calunniosi, scrisse un romanzo popolare, Biarritz, sotto lo pseudonimo di Sir John Retcliffe, una storia in cui si descrive una cerimonia occulta nel cimitero di Praga. Goedsche altro non fa che copiare una scena dal Giuseppe Balsamo di Dumas (del 1849) in cui si descrive l’incontro tra Cagliostro, capo dei Superiori Sconosciuti, e altri illuminati, quando tutti insieme progettano l’affare della Collana della Regina. Ma invece che Cagliostro & Co., Goedsche fa apparire i rappresentanti delle dodici tribù di Israele, che si riuniscono per preparare la conquista del mondo, come vien palesato senza infìngimenti dal Gran Rabbino. Cinque anni dopo la stessa storia sarà ripresa da un libello russo (Gli ebrei, signori del mondo), ma come se si trattasse di cronaca vera. Nel 1881, Le contemporain ripubblica la stessa storia, asserendo che proviene da una fonte sicura, il diplomatico inglese Sir John Readcliff. Nel 1896 Frangois Bournand usa di nuovo- il discorso del Gran Rabbino (che questa volta si chiama John Readclif) nel suo libro Les Juils, nos contemporains. Da questo punto in avanti, l’incontro massonico inventato da Dumas, fuso col progetto gesuitico inventato da Sue e attribuito da Joly a Napoleone III, diventa il vero discorso del Gran Rabbino e riappare in varie forme e in vari luoghi.

Ma la storia non finisce qui. Entra ora in scena un personaggio che non è romanzesco, ma che avrebbe meritato di esserlo, Pétr Ivanovic Rachovskij, un russo che aveva avuto problemi con la polizia zarista perché era stato accusato di contatti coi gruppi dell’estrema sinistra rivoluzionaria, che più tardi era divenuto informatore della polizia, si era avvicinato alle Centurie Nere, una organizzazione terroristica di estrema destra, e della polizia politica zarista (la terribile Okhrana) era finalmente diventato capo. Ora Rachovskij, per aiutare il suo protettore politico (il conte Sergej Witte), preoccupato da un suo oppositore, Elle de Cyon, aveva fatto perquisire la casa.di Cyon e aveva trovato un libello in cui Cyon aveva ricopiato il testo di Joly contro Napoleone III, ma attribuendo le idee di Machiavelli a Witte. Rachovskij, come ogni appartenente alle Centurie Nere, era ferocemente antisemita - questi fatti avvenivano al tempo dell’affare Dreyfus - e aveva avuto l’idea di prendere quel testo, cancellarvi ogni riferimento a Witte, e attribuire quelle idee agli ebrei. Il nome Cyon, specie se pronunciato alla francese, richiamava foneticamente Sion, e l’idea di attribuire la rivelazione di un complotto ebraico a un ebreo aumentava la credibilità dell’operazione.

Il testo corretto da Rachovskij rappresentò probabilmente la fonte primaria dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Questo testo rivela la sua fonte romanzesca perché è poco credibile, se non in un romanzo di Sue, che i "cattivi" esprimano in modo così scoperto e svergognato i loro malvagi progetti. I Savi dichiarano candidamente di avere "un’ambizione sconfinata, una ingordigia divoratrice, un desiderio spietato di vendetta e un odio intenso . Ma, come nel caso dell’Amleto secondo Eliot, la varietà delle fonti romanzesche rende questo testo abbastanza incongruo.

I Savi Anziani vogliono abolire la libertà di stampa ma incoraggiano il libertinaggio. Criticano il liberalismo, ma sostengono l’idea delle multinazionali capitaliste. Auspicano la rivoluzione in ogni paese, ma per istigare la ribellione delle masse intendono esacerbare la disuguaglianza sociale. Vogliono costruire metropolitane per poter minare le grandi città. Dicono che il fine giustifica i mezzi, e sono in favore dell’antisemitismo, ma per poter controllare gli ebrei più poveri e al tempo stesso impietosire i Gentili di fronte alla tragedia ebraica. Vogliono abolire lo studio dei classici e della storia antica, intendono incoraggiare lo sport e la comunicazione visiva per rimbecillire la classe lavoratrice... E così via.

Molti hanno notato che era facile riconoscere nei Protocolli un documento prodotto nella Francia ottocentesca, perché essi abbondano di riferimenti a problemi della società francese dell’epoca (lo scandalo del Canale di Panama, o le voci sulla presenza di azionisti

ebrei nella compagnia parigina del Metro). Ma era anche facile riconoscere tra le fonti molti e notissimi romanzi popolari. Ahimè, la storia - ancora una volta - era narrativamente così convincente che fu facile prenderla sul serio.

E resto di questa storia è Storia. Un monaco itinerante russo, Sergej Nilus - una figura a mezza strada tra l’intrigante e il profeta - per sostenere le proprie ambizioni "rasputiniane" (voleva diventare confessore dello Zar), ossessionato dall’idea dell’Anticristo, pubblica e commenta il testo dei Protocolli. Dopo di che il testo viaggia attraverso l’Europa sino a pervenire nella mani di Hitler... Tutti conoscono le puntate successive.

Possibile che nessuno si fosse accorto che questo collage di fonti diverse altro non era che un’opera di finzione? Sì, nel 1921 il Times aveva scoperto il vecchio libello di Joly, e l’aveva indicato come la fonte dei Protocolli. Ma l’evidenza dei fatti non basta a chi vuole a ogni costo un romanzo dell’orrore. Nesta Webster, che ha speso la propria vita a sostenere la versione del complotto dei Superiori Sconosciuti e degli ebrei, ha scritto nel 1924 Secret Societies and Subversive Movements. Essa appare bene informata, conosce le rivelazioni del Times, tutta la storia di Nilus, Rachovskij, Goedsche e così via (tranne le connessioni con Dumas e Sue che sono, credo, una mia scoperta), ma vediamo che conclusioni ne trae:

"L’unica opinione su cui possa impegnarmi è che, siano essi autentici o meno, i Protocolli rappresentano il programma di una rivoluzione mondiale e, data la loro natura profetica e la loro somiglianza straordinaria coi programmi di altre società segrete del passato, essi sono o l’opera di qualche società segreta o di qualcuno che conosceva benissimo le tradizioni delle società segrete, e che era capace di riprodurre le loro idee e il loro stile".

Il sillogismo è impeccabile: "siccome i Protocolli dicono quello che ho detto nella mia storia, essi la confermano"; oppure: "i Protocolli confermano la storia che ho tratto da essi, e quindi sono autentici". Nello stesso modo, Rodolfo di Gerolstein, provenendo da I misteri di Parigi ed entrando ne I misteri del popolo, conferma con l’autorità del primo romanzo la veridicità del secondo.

Si può reagire a queste intrusioni del romanzo nella vita, ora che abbiamo visto quale portata storica possa avere questo fenomeno? Non sono qui a proporvi le mie povere passeggiate nei boschi della finzione come un rimedio alle grandi tragedie del nostro tempo. Ma è pur sempre passeggiando nei boschi narrativi che abbiamo potuto capire anche il meccanismo che permette l’irruzione della finzione nella vita, talora con risultati innocenti e gradevoli, come quando si va in pellegrinaggio a Baker Street, talora trasformando la vita non in un sogno ma in un incubo. Riflettere sui complessi rapporti tra lettore e storia, finzione e realtà, può costituire una forma di terapia contro ogni sonno della ragione, che genera mostri.

In ogni caso non rinunceremo a leggere opere di finzione, perché nei casi migliori è in esse che cerchiamo una formula che dia senso alla nostra vita. In fondo noi cerchiamo, nel corso della nostra esistenza, una storia originaria, che ci dica perché siamo nati e abbiamo vissuto. Talora cerchiamo una storia cosmica, la storia dell’universo, talora la nostra storia personale (che raccontiamo al confessore, allo psicoanalista, che scriviamo sulle pagine di un diario). Talora speriamo di far coincidere la nostra storia personale con quella dell’universo.



Parte 1

Umberto Eco su I protocolli dei Savi di Sion, in "Il Pendolo di Foucault"