di Diego Cuoghi



Nella pagina web intitolata “
Maddalena? no, si sbaglia, sono Giovanni”, che ho dedicato alle tesi pop-esoteriche scatenatesi attorno al personaggio alla destra di Gesù nell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, ho accennato ad uno degli altri presunti “misteri” contenuti nel dipinto: il coltello impugnato da Pietro, che secondo alcuni apparterrebbe invece a un non meglio identificato personaggio invisibile.

Una strana mano punta uno stiletto allo stomaco di un discepolo, nel gruppo all’estremità sinistra, per chi guarda, della tavola. Non si riesce a immaginare come la mano possa appartenere a qualcuno dei commensali”. Questo brano, che pare una scena da romanzo di fantasmi, è tratto La rivelazione dei Templari (1997) di Lynn Picknett e Clive Prince, uno dei diversi libri di fiction pseudostorica dai quali ha abbondantemente attinto Dan Brown per comporre il suo fortunato Codice da Vinci (2003) dove leggiamo una frase molto simile: “Quella mano non stringe un pugnale? - Sì. Cosa ancora più strana, se conti le braccia, vedi che quella mano non appartiene a nessuno in particolare. È priva di corpo. Anonima”. In seguito al successo dello sgangherato thriller è nata una specie di mania collettiva, che ha visto moltiplicarsi libri, pagine web, trasmissioni di mistero in TV, in cui i più improbabili “ricercatori” si sono messi a dare la caccia a Maddalene nascoste in ogni dipinto, discendenze merovingie, figli di Gesù, sette segretissime e occulte ma descritte in ogni loro dettaglio in bestseller da edicola...
Oggi la moda si sta lentamente ridimensionando, il supermarket esoterico infatti ha trovato altri temi da sfruttare, i vampiri ad esempio, che popolano scaffali e banchi in ogni libreria. Ma qualcuno continua a proporre sensazionali scoperte e misteri new-age, maltrattando ulteriormente questa opera d’arte diventata improvvisamente oggetto di libidini complottiste: l’
Ultima cena (o Cenacolo) di Leonardo da Vinci, dipinta nel refettorio del convento di Santa Maria alle Grazie a Milano tra il 1495 e il 1498.


L’Ultima Cena prima e dopo il restauro

File in alta definizione (5381 × 2926 pixel) in Wikimedia Commons: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4b/Última_Cena_-_Da_Vinci_5.jpg

Purtroppo l’Ultima Cena già nel 1517, secondo la testimonianza di Antonio de Beatis, “è excellentissima, benché incomincia a guastarse non so se per la humidità che rende il muro o per altra inadvertentia”, e nel 1568 Giorgio Vasari arriverà a scrivere che il dipinto è “tanto male condotto che non si scorge più se non una macchia abbagliata”. Per Francesco Scannelli, che descrisse il Cenacolo nel 1642, non erano rimaste dell’originale che alcune tracce delle figure, e anche quelle così confuse che solo a fatica se ne poteva ricavare una indicazione del soggetto. Proprio perché considerato ormai perduto, i Domenicani del convento nel 1652 non esitarono ad aprire una porta per dare accesso alle cucine, tagliando le gambe di Gesù e di due apostoli. Ai restauri eseguiti da malaccorti pittori settecenteschi, che praticamente ridipinsero tutta l’opera, si aggiunsero poi i vandalismi; addirittura durante l’occupazione di Milano tra il 1796 e il 1801, quando il Refettorio venne trasformato in scuderia per i soldati napoleonici, furono scagliate pietre che distrussero i corpi degli apostoli, mentre gli occhi furono sfregiati con una punta. Infine, il 16 agosto 1943, nel corso della seconda guerra mondiale, il convento di Santa Maria delle Grazie venne bombardato e il refettorio quasi completamente distrutto; il Cenacolo si salvò perché protetto da una impalcatura di tavole di legno e sacchetti di sabbia.



Il recente intervento restauro ha dunque potuto recuperare solo in parte l’originale di Leonardo, irrimediabilmente rovinato sia a causa dei materiali utilizzati dall’artista, inadatti ad un dipinto su muro, che per opera dei molti “restauratori” i quali soprattutto nei secoli XVII e XVIII avevano eseguito, come scrive la curatrice del recente restauro scientifico Pinin Brambilla, “vere e proprie ridipinture volte alla 'manutenzione estetica' del dipinto”.
A proposito di questi devastanti interventi ecco cosa scrisse Kenneth Clark nel 1983 nell’introduzione al volume
Leonardo: studi per il Cenacolo dalla Biblioteca reale nel Castello di Windsor:
  • «Pietro, con la fronte bassa da criminale, è una delle figure che disturbano di più nell'intera composizione; ma le copie mostrano che la sua testa era in origine piegata indietro e vista di scorcio. Il restauratore non è stato capace di seguire questo difficile brano di disegno e così ne è uscita una deformità. Lo stesso insuccesso si verifica quando si tratta di avere a che fare con pose non comuni come quelle delle teste di Giuda e di Andrea. Le copie mostrano che Giuda era prima in profìl perdu, un fatto confermato dal disegno di Leonardo a Windsor [cat. 13]. Il restauratore l'ha rigirato, collocandolo in netto profilo e pregiudicandone così l'effetto sinistro. Andrea era quasi di profilo; il restauratore l'ha portato a una veduta convenzionale di tre quarti. E inoltre ha trasformato il dignitoso vecchio in un tipo spaventoso di ipocrisia scimmiesca. La testa di Giacomo Minore è interamente opera del restauratore, che con essa dà la misura della propria inettitudine.»
E’ in questo dipinto, in cui dell’originale di Leonardo rimane ben poco (ad esempio quasi tutta la testa di Giuda è rifatta, dell’originale viso di Giovanni resta solo un decimo ovvero le scaglie più chiare della parte alta del viso, e di Pietro solo parte della fronte e dello zigomo, come scrive Pinin Brambilla in Leonardo, L’Ultima Cena, pagg. 393-400), che gli improvvisati scopritori di complotti hanno trovato di tutto e di più: Maddalena al posto di Giovanni, Pietro che minaccia di tagliare la gola a Maddalena, un apostolo che minaccia Gesù, un coltello svolazzante, prove che Leonardo fosse a conoscenza dei manoscritti di Qumran, musiche celate nel disegno della tovaglia, un bambino tenuto in braccio da un apostolo, fino all’immancabile prezzemolo di ogni mystero che si rispetti, un Templare che apparirebbe specchiando e sovrapponendo una parte di dipinto su un’altra. In questa pagina analizzerò il famigerato coltello, per cercare di capire chi e come lo impugna.

La riproduzione migliore disponibile oggi dell’
Ultima Cena di Leonardo è quella realizzata nel 2007 alla definizione di 16.118.035.591 pixel (172181 x 93611) e a 16 bit per canale, visibile nel sito Haltadefinizione. Praticamente una riproduzione in scala 1:1 a 500dpi! Nelle immagini che seguono è leggibile la filigrana “H9” sovraimpressa dal sito Haltadefinizione.

Osserviamo prima di tutto il gruppo composto da Pietro, Giuda e Giovanni (sì,
Giovanni).



Domenico Pino, priore del convento di Santa Maria delle Grazie, pubblicò nel 1796 uno studio intitolato Storia genuina del Cenacolo insigne dipinto da Leonardo da Vinci nel quale leggiamo:
  • “Alla destra di Cristo vedesi San Giovanni, il discepolo prediletto, che pallido in volto, col capo ripiegato sulla destra spalla, colle mani incrocicchiate sembra men poco che svenuto all’annunzio del traditoresco attentato. Segue Giuda con truce aspetto, come fosse abbronzito dal sole e situato avvedutamente quasi per contrapposto vicino al bianco Giovanni. Si appoggia il fellone villanescamente col braccio destro quasi in mezzo alla mensa, e guardando con occhio arditamente fisso il divino Maestro, e colla sinistra allargata, pare che quanto stupisce nell’essere scoperto per traditore, altrettanto stia fermo, per eseguire il suo tradimento. Ei tien nella destra mano una borsa, perché si ravvisi per quello scellerato, che per avarizia vendette il suo Signore. Pietro che viene appresso, e che si riconosce per lo coltello che ha nella destra, come se si fosse dalla mensa rialzato, stende ma mano sinistra sopra la spalla di Giovanni, quasi voglia interpellare da lui, come confidente di Cristo, chi possa essere il traditore.”
A proposito della mano e del coltello, il priore Domenico Pino ritorna sull’argomento in una pagina successiva, dove confuta la “ridevole diceria” secondo la quale il coltello sarebbe stato posto nella mano di Pietro dal ritoccatore Michelagnolo Bellotti, affermando che
  • “non pare in conto alcun verosimile che la mano di questo apostolo avesse da essere disposta in maniera da potervi adattare un coltello senza cambiarla di molto (...). Ma basta gittare uno sguardo benché passeggero nella pittura per riconoscere di primo slancio la naturalezza del disegno ideato senza meno da Leonardo medesimo, che per esprimer San Pietro, il quale come tra gli apostoli fu il più animoso, tagliò nell’orto di Getsemani l’orecchio al servo del Principe dei Sacerdoti, posto gli ha in mano un coltello, come a Giuda ha posto nella mano la borsa per farnelo ravvisare per lo traditore fellone che per trenta denari vendette il suo divino Maestro”.
Pochi anni più tardi Giuseppe Bossi pubblicò un monumentale in-folio intitolato Del Cenacolo di Leonardo, libri quattro. Nel primo libro l'autore commenta i giudizi di vari scrittori in riferimento al Cenacolo; nel secondo descrive l'opera; nel terzo analizza le copie del Cenacolo; nel quarto tratta della tecnica di pittura del grande maestro. Come Domenico Pino, anche Bossi fornisce una dettagliata descrizione di ogni personaggio raffigurato, ecco quella di Pietro:
  • “Da quanto si è detto delle figure antecedenti, si potrà con facilità immaginare l’attitudine del principe degli apostoli. Acceso di onesta collera al suono delle divine parole, egli s’alza alquanto dal luogo ove sedea, per interrogare il confidente di Cristo, l’apostolo Giovanni. Colla sinistra indica il Salvatore in atto di chiedere il significato de’ suoi detti, mentre la sua destra va quasi naturalmente verso una specie di coltello o breve parazonio; con che il pittore diede cenno del desiderio in lui ardentissimo di vendicare il Maestro e della sua prontezza a dar di mano alle armi, delle quali ebbe poco dopo rimprovero da Cristo medesimo nell’orto di Getsemani.
Anche Bossi confuta l’opinione di un altro autore (in questo caso identificato con Bianconi) il quale, basandosi probabilmente sull’incisione di Birago in cui nella mano di Pietro non compare il coltello, riteneva questo oggetto una aggiunta fatta da uno dei ritoccatori settecenteschi.
  • E’ singolare ed unica l’opinione del Bianconi intorno a questo coltello. Egli lo crede un’aggiunta del temerario riattamento; quindi pare lo attribuisca al primo generale ritoccatore Michelagnolo Bellotti. Sembra impossibile come egli che visse sempre fra gli artisti e tra le cose delle arti, non sapesse che il Cenacolo stette certamente più di un secolo e mezzo senza che alle altre sue disgrazie si aggiungesse quella dei ritocchi, e che nel gran numero delle copie da esso tratte anticamente non ve n’è una sola in cui non si vegga questo distintivo di san Pietro. E non è meno strano ch’egli lo supponga aggiunto unicamente perché non si vede in una rara bensì ma pessima stampa che pare l’opera di un incisore che non ha visto l’originale, se pure non fu fatta da qualche disegno o schizzo prima che l’originale fosse condotto a fine. Sembra però che il Bianconi stesso si ricredesse di questa stranezza, perché nella seconda edizione della sua Guida cangiò la descrizione, e considerò come genuino ed originale l’attributo del nostro apostolo. Nel resto non potrei seguire a descrivere questa figura senza ripetere quanto accennai descrivendo quella di Giovanni, o senza usurpare le parole del cardinale Federico Borromeo, a cui rimetto il lettore. Bastimi aggiungere che il suo movimento pronto, il furore del suo volto, il gesto dell’una e dell’altra mano, tutto in somma il complesso della sua attitudine eccitata da viva e súbita commozione, contrasta mirabilmente colla patetica e dolce giacitura dell’apostolo Giovanni, e richiama felicemente la dissimiglianza che hanno tra di loro le due vite, l’attiva e la contemplativa, delle quali sono, come si disse, simboli questi due primarj tra gli apostoli. Il colore poi delle sue vesti è il solito che volgarmente gli si attribuisce, e che si vede fino nella cena di Cristo che Giotto dipinse in santa Croce a Firenze; cioè di un bel giallo è il pallio, e d’un vivace azzurro alquanto chiaro la tunica”.
Bossi dunque, come il priore di Santa Maria delle Grazie, rivendica alla mano del Maestro la paternità di quell’attributo di Pietro, che sostiene essere chiaramente visibile in tutte le copie dell’Ultima cena che elenca e descrive nel terzo dei quattro libri (quelle allora visibili erano molte più di quelle attuali, diverse infatti vennero distrutte durante le demolizioni dei conventi, altre da bombardamenti durante l’ultima guerra).

Wolfgang Goethe descrisse il dipinto in un lungo saggio pubblicato nel 1816 col titolo
Il Cenacolo di Leonardo, basato in parte sullo studio di Giuseppe Bossi. A proposito di Pietro lo scrittore tedesco afferma che l’apostolo
  • “ha afferrato con la sinistra la spalla di Giovanni, che si piega verso di lui, e indicando Cristo sembra voler dire al discepolo prediletto che gli chieda chi è il traditore. Pietro ha il coltello nella destra e per caso senza pensarci, tocca col manico il fianco di Giuda, per cui l’atteggiamento di quest’ultimo, che si curva in avanti, come se fosse allarmato, e così facendo rovescia una saliera, produce un effetto ben riuscito. Questo gruppo è da considerarsi il primo concepito nel dipinto: certamente è il più perfetto. Mentre a destra, in un’atmosfera abbastanza emozionata, sembra che si minacci immediata vendetta, a sinistra invece si manifestano orrore e ripugnanza per il tradimento...”
Quella di Goethe, più che una descrizione precisa, appare come una interpretazione letteraria segnata dal romanticismo dell’epoca, e certe imprecisioni (come il manico del coltello che toccherebbe il fianco di Giuda) possono essere dovute sia alle pessime condizioni di visibilità dell’opera originale nel 1785, quando venne vista per la prima volta dallo scrittore.

Arriviamo ai nostri giorni e leggiamo cosa scrive Federico Zeri:
  • “Un coltello, appena usato per tagliare il cibo durante la cena, spunta - impugnato da Pietro con la mano rovesciata - dietro la schiena di Giuda” (in: Leonardo, l’Ultima Cena, 1998).
Il coltello è infatti impugnato da Pietro, che lo stringe con la mano destra ripiegata indietro e col polso appoggiato all’anca, mentre si china verso Giovanni per chiedergli, come si legge nel quarto vangelo, chi possa essere il traditore del quale Gesù ha appena parlato (Gv. 13,24). L’impressione è che Leonardo abbia raffigurato Pietro nell’atto di estrarre il coltello dal fodero appeso all’abito (in diverse copie si vedono chiaramente i cordoni, che oggi nell’originale sopravvivono solo in poche scaglie scure) in un’impeto d’ira, come se stesse dicendo a Giovanni “voglio sapere chi è il traditore, sono pronto ad ucciderlo con il mio coltello”.

Anche Domenico Laurenza scrive a proposito delle figure di Pietro e Giovanni:
  • “La tradizione agiografica aveva spesso contrapposto il carattere mansueto di Giovanni (simbolo secondo San Tommaso di vita contemplativa) a quello iracondo di Pietro (simbolo di vita attiva). Leonardo ponendo i due discepoli uno accanto all’altro, accentua il contrasto in modo analogo alle sue antitesi fisiognomiche, ove contrappone un profilo iracondo a uno malinconico. Giovanni, che secondo il racconto del vangelo stava quasi riposando sul petto di Cristo quando Pietro lo interroga sulle parole del maestro, ha atti adeguati al suo carattere: il capo mollemente reclinato da un lato, le mani giunte e rilasciate. Pietro lo scuote con la mano sinistra per interrogarlo, mentre con un gesto maldestro dell’altro braccio tiene - quasi nasconde - un coltello. Gesti di impaziente iracondia: di lì a poco, nell’orto del Getsemani, egli verrà rimproverato dal Cristo per aver colpito, con maldestro coraggio, Malco, il servo del Sommo Sacerdote” (D. Laurenza, Il teatro delle passioni, in Leonardo, il Cenacolo, 1999).

La scena del tradimento di Giuda e del ferimento di Malco, dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova:


E’ proprio per questo motivo, la famosa scena nell’Orto del Getsemani (Gv 18:10), che in moltissimi altri dipinti rinascimentali raffiguranti l’ Ultima Cena Pietro impugna già con grande evidenza un coltello. Possiamo osservarlo ad esempio nelle opere di Domenico Ghirlandaio, Luca Signorelli, Pietro Vannucci detto il Perugino, Andrea del Castagno, Jacopo Bassano, Jean Huguet, Giovanni Canavesio... solo per citarne alcuni (molti esempi sono visibili nell’articolo intitolato “Maddalena? no, si sbaglia, sono Giovanni”).
Nell’originale greco del quarto vangelo quell’arma è chiamata “machaira” (ovvero un grosso pugnale con la lama ricurva), nella
Vulgata in latino è “gladium”, infine nelle traduzioni più recenti dei vangeli diventa “spada”. Ma nella prima edizione a stampa in italiano volgare della Bibbia, la traduzione di Nicolò Malermi pubblicata a Venezia nel 1471 e ristampata moltissime volte negli anni seguenti, quell’arma è chiamata “coltello” in tutti i quattro vangeli. In particolare è Giovanni che fa il nome di Pietro:
  • Havendo dunque Simon Pietro el coltello trasselo fuori et percosse el servo del pontifice & taliogli la orecchia diricta: et egli se chiamava Malcho. Dice dunque Jesu a Pietro. Poni el coltello tuo nella vagina. Hor non vuoi tu chio beva el calice che me ha dato el patre?
Secondo Jean Paul Richter, autore della più importante raccolta di scritti di Leonardo (The notebooks of Leonardo da Vinci, 1883) la Bibbia alla quale fa riferimento Leonardo nell’appunto del Codice Atlantico è proprio la “Bibia volgare historiata (per Nicolò Malermi) Venezia MCCCCLXXI (...) od altra edizione della stessa versione del Malermi”. Della stessa opinione era Girolamo D’Adda (Leonardo e la sua libreria, note di un bibliofilo, Milano, 1863), mentre Edmondo Solmi (Le fonti dei manoscritti di Leonardo da Vinci, Torino, 1908) ritiene più probabile si trattasse di “una delle tante edizioni bibliche latine della fine del secolo XV”. In anni più recenti anche Carlo Pedretti (in Leonardo, Studi per il Cenacolo, pag 137) ha ribadito che la Bibbia acquistata da Leonardo per la notevole cifra di 61 soldi poteva essere quella in volgare di Malermi.



Tornando al nostro coltello, che nel Cenacolo di Leonardo sia impugnato da Pietro è ancor più evidente confrontando il colore dell’incarnato della mano e del polso (più rosato) con quello del retrostante mantello (giallo ocra). Proprio questo particolare e questa alternanza di colori nella figura di Pietro è descritta da Pietro Marani il quale scrive che “il braccio di Pietro fa da cerniera fra le figure di Andrea e Giuda” e cita “il colore del suo abito, azzurro oltremare (lapislazzulo), pausato dall’incarnato della mano e dal colore grigio-azzurro del coltello che essa trattiene, che si stagliano sul giallo del suo mantello” (in: Il Genio e le Passioni, Leonardo e il Cenacolo, precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, Skira, Milano, 2001, pag. 68).

Secondo alcuni invece quella mano che impugna il coltello apparterrebbe ad un “personaggio fantasma”, un intruso che si nasconderebbe tra gli apostoli.
La tesi del quattordicesimo personaggio è sostenuta anche dall’incredibile Roberto Giacobbo di Voyager, secondo il quale il personaggio che da secoli, in tutti i libri del mondo sull’Ultima Cena, è descritto come Giuda, in realtà non sarebbe Giuda. E chi sarebbe allora? con quel sacchetto in mano (secondo i vangeli Giuda teneva la cassa del gruppo e nella maggior parte delle ultime cene rinascimentali è rappresentato col sacchetto dei soldi), con quell’aria torva, col viso totalmente in ombra e con la mano protesa, come descritto dai vangeli, a prendere il pane che Gesù gli porgerà dopo l’annuncio del tradimento?. Il presentatore TV, quello che è “in viaggio attraverso domande a caccia di risposte” non dà risposte a questo problema. Il vero Giuda, secondo l’incredibile Giacobbo, sarebbe invece nascosto, chinato tra Pietro, il non-Giuda e il non-Giovanni (infatti secondo il Giacobbo quest’ultimo personaggio sarebbe nientepopodimeno che la Madonna). Ecco la ricostruzione proposta da Voyager di “mister-x” visto da dietro:



Come si può rispondere a simili barzellette se non con uno sghignazzo?

All’incredibile Giacobbo, il quale sostiene che di Giuda nel Cenacolo si vedrebbe solo la mano col coltello (ma quando mai Giuda ha avuto in mano un coltello? in quale pagina di quale testo canonico o apocrifo? in quale altra opera d’arte al mondo?), chiederei che spessore avrebbe dovuto avere il corpo di quel suo Giuda per poter stare in mezzo a un gruppo di tre personaggi così ravvicinati. Forse era un abitante di
Flatland? Poi gli consiglierei di leggere le Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani di Giorgio Vasari. Nella prima edizione (1550) Vasari descrive la meraviglia e la venerazione dei milanesi e dei forestieri per quell’eccezionale dipinto in cui l’artista è riuscito ad esprimere “quel sospetto che era entrato ne gli apostoli di voler sapere chi tradiva il loro maestro” e contemporaneamente “l’odio e il tradimento in Giuda”. Anche altri autori alla metà del ‘500 hanno parlato della figura di Giuda nel Cenacolo, ad esempio Giovanbattista Giraldi Cinthio nel 1554 racconta di aver saputo dal padre Cristoforo che “havendo il Vinci finita l’immagine di Cristo, di ondici Discepoli, egli haveva dipinto il corpo di Giuda solo insino alla testa, né più oltre procedeva”. Il Duca, spinto dal priore, avrebbe insistito più volte con l’artista perché terminasse il lavoro ma Leonardo diceva di non essere riuscito a trovare neppure al Borghetto, un luogo in cui si davano convegno “tutte le vili et ignobili persone, et per la maggior parte malvage e scellerate”, un viso che fosse adatto a rappresentare l’immagine di tale empio personaggio. Leonardo scherzando, aggiunse che se il priore non avesse smesso di mettergli fretta avrebbe dato proprio il suo viso al traditore, e a queste parole il duca di Milano avrebbe riso. Giraldi termina dicendo che non molto tempo dopo Leonardo riuscì a trovare un viso adatto all’idea che si era fatto del traditore e ne fece uno schizzo che mise assieme agli altri in una raccolta di facce “vili et malvagie”. Tornato al convento “compì Giuda con viso tale che pare ch’egli abbia il tradimento scolpito nella fronte”. Questo stesso aneddoto venne poi inserito da Vasari nella seconda edizione delle Vite pubblicata nel 1568. (C. Pedretti, Leonardo: studi per il Cenacolo dalla Biblioteca reale nel Castello di Windsor, pagg. 146-147).

Certo è eccitante credere alle favole, ai misteri e ai complotti (per alcuni pare sia molto più eccitante che studiare la storia dell’arte) e sembra che non sia neppure necessario fornire prove e motivazioni sul perché Leonardo avrebbe inserito questo “mister-x” tra gli apostoli, su quale senso avrebbe avuto un simile stravolgimento della scena narrata dal vangelo, sulla totale mancanza di citazioni, da parte dei numerosissimi scrittori che hanno descritto l’opera, di un particolare così incongruo che per qualche decennio (fino all’inizio del degrado dell’opera) sarebbe rimasto in evidenza sotto gli occhi di decine di frati convenuti ogni santo giorno a pranzare nel refettorio.
No... a costoro basta bearsi del “mistero del coltello impugnato da un personaggio nascosto” ignorando perfino ciò che del
Cenacolo di Leonardo ha scritto chi ha avuto per tanti anni un diretto contatto con l’opera. La direttrice del restauro Pinin Brambilla Barcilon, descrivendo il Cenacolo e in particolare la figura di Pietro, scrive:
  • “La figura di Pietro, concepita da Leonardo in una posizione assai protesa in avanti, è dipinta in un profilo scorciato con la mano sinistra distesa verso il Cristo. Il corpo presenta un avanzamento assai accentuato e inoltre un'ulteriore complessità della posizione è data dalla torsione del braccio destro e della mano che impugna il coltello. La singolare postura, così esasperata, precorre stilisticamente i canoni pittorici dell'epoca successiva (...) La mano destra era completata dalla mancanza di parte di alcune dita, mentre la sinistra era assai rafforzata in tutta la parte del profilo inferiore. Infine, nonostante il pesante restauro, si intravedevano diffuse abrasioni a carico delle scaglie originali presenti in queste aree, come ad esempio nel palmo della mano destra e nell'indice della sinistra. Il coltello e l'impugnatura mostravano il medesimo intervento ricostruttivo che rafforzava i margini e celava le lacune (...). Buono anche il recupero della mano destra che impugna il coltello da pescatore: sull'impugnatura di questo sono riapparse sottili e raffinate lumeggiature grigio azzurre”. (in: Pinin Brambilla Barcilon, Pietro C. Marani, Leonardo, L’Ultima Cena, 1999, pagg. 398-401)

Oltre all’opinione di scrittori, storici e restauratori, in questo caso abbiamo diverse testimonianze e documenti originali che provano cosa intendesse dipingere l’artista. Prima di tutto esiste uno schizzo preparatorio di Leonardo, oggi conservato alla Royal Library di Windsor. In questo disegno possiamo osservare il braccio di Pietro con il polso ripiegato all’indietro e il dorso della mano appoggiato sul fianco, la stessa posa che poi Leonardo riportò nella versione definitiva dell’opera.
Carlo Pedretti a proposito di questo schizzo descritto come “Studio per il braccio di Pietro” scrive
  • “Un braccio destro piegato al gomito, completamente coperto da una manica aderente e rimboccata a formare diverse pieghe circolari, il polso bruscamente piegato come a trovare sostegno sul fianco sporgente di una figura che si slancia in avanti verso destra”. (C. Pedretti, Studi per il Cenacolo, pag. 112).



Nel disegno si notano pure le dita ripiegate nella stessa identica posizione osservabile nel dipinto.
Quella che segue è una elaborazione grafica in cui, per meglio mostrare questi particolari, ho gradualmente sovrapposto il dipinto al disegno.



Una mano piegata all’indietro, in una posizione molto simile, la possiamo trovare anche in un bozzetto di Leonardo per
Sant’Anna, la Madonna e il Bambino (Cabinet des Dessins, Louvre, inv 460)



A queste importanti testimonianze, dovute alla stessa mano di Leonardo, possiamo aggiungere tutte le innumerevoli copie dell’Ultima Cena, molte delle quali realizzate proprio da allievi dell’artista già nei primi anni del Cinquecento, o addirittura, come nel caso del bassorilievo di Tullio Lombardo nella chiesa veneziana di Santa Maria dei Miracoli, mentre Leonardo stava ancora lavorandovi. Questa scultura, rimasta in forma di abbozzo, è importantissima perché potrebbe essere la prima copia in assoluto del Cenacolo leonardesco. Le differenze nei gesti di molti personaggi sono state spiegate da Carlo Pedretti con l’ipotesi che l’autore del bassorilievo (che è documentato fosse in contatto con la bottega di Leonardo) si sia basato non sul dipinto vero e proprio ma su disegni preliminari, diversi da ciò che poi venne effettivamente dipinto. Ad esempio la figura di Bartolomeo all’estrema sinistra appare completamente eretta, Giovanni non ha le mani conserte, la mano sinistra di Giacomo Maggiore è rivolta più in alto, le mani di Filippo sono una sull’altra, Pietro non appoggia il braccio destro sul fianco ma lo tiene disteso, con il coltello in direzione di Giuda (C. Pedretti, Leonardo: studi per il Cenacolo... pag. 49).


Tullio Lombardo, Ultima Cena, S.Maria dei Miracoli, Venezia, databile alla fine del Quattrocento.


L’Ultima Cena di Leonardo ebbe un successo enorme e diversi altri conventi e istituti religiosi desiderarono averne una copia, spesso delle stesse dimensioni dell’originale. In tutte le copie (dipinti, incisioni, arazzi, sculture...) Pietro mostra la mano col coltello piegata all’indietro, appoggiata all’anca. Non ce ne è una sola che lasci dubbi sulla reale appartenenza di quel polso e di quella mano, indipendentemente dalle capacità dell’allievo e dalla buona riuscita o no della copia.
Non tutti gli allievi di Leonardo infatti sono riusciti a capire bene quella postura, come afferma Pietro C. Marani nel catalogo della mostra
Il Genio e le Passioni: Il braccio è raffigurato come di tre quarti, con il gomito rivolto verso lo spettatore, in un difficilissimo esercizio di prospettiva che è stato spesso frainteso dai copisti”.

A questo punto è necessario osservare cosa hanno fatto i copisti, perlomeno quelli più importanti e le cui opere sono tuttora esposte in collezioni, musei, chiese.



Copia del Cenacolo nella basilica di S. Lorenzo, Milano. Attribuita a Antonio della Corna, fine sec. XV.




Giovanni Pietro Birago, Ultima Cena, 1500 circa. In questa incisione molti particolari sono diversi, ad esempio nella mano destra di Pietro, che pure è chiusa a pugno e piegata all’indietro, non compare il coltello, mentre la sinistra non indica Cristo ma è solo appoggiata sulla spalla di Giovanni.




Copia dell’Ultima Cena, identificata come studio per la copia di St. Germain l’Auxerrois, Parigi (datata all’inizio del ‘500). In passato attribuita sia al Bramantino, che avrebbe ricevuto l’incarico di eseguire una copia del Cenacolo nel 1503, che a Raffaello (Pedretti, Leonardo. Studi per il Cenacolo, pag.130).




Arazzo di manifattura fiamminga, Musei Vaticani, datato da Laure Fagnart tra il 1505 e il 1515 (
in: Il Genio e le Passioni, Leonardo e il Cenacolo, pag. 165-171). Immagini tratte da Wikipedia (Das Abendmahl - Gobelin qui la versione ad alta definizione).




Giovan Pietro Rizzoli, detto il Giampietrino
Ultima Cena, 1515 circa, Londra, Royal Academy of Arts (in esposizione attualmente presso la cappella del Magdalen College a Oxford). Da questo dipinto derivano i disegni oggi nel museo di Strasburgo (rif. P. Marani).




Cesare Magni, Ultima Cena, 1520 circa, Milano, Pinacoteca di Brera




Ultima Cena, Abbazia di Tongerlo, Belgio (attribuita ad un anonimo fiammingo o ad Andrea Solario). Come nei tre esempi precedenti, e nella versione di Marco d’Oggiono a Ecouen, si notano i laccetti del coltello di Pietro.




Ultima Cena, Hermitage, San Pietroburgo (attribuita ad anonimo lombardo, seconda metà del XVI secolo)




Ultima Cena, chiesa di Sant’Ambrogio, Ponte Capriasca.
Attribuita ad anonimo da Pietro Marani e a Cesare da Sesto da Isidoro Marcionetti (in passato attribuita anche al Giampietrino).




Ultima Cena, Pinacoteca di Brera. Attribuita a Marco d’Oggiono in un inventario del 1650, ma oggi ritenuta di anonimo milanese del sec. XVI


Le ultime due copie mostrano evidenti imprecisioni, deformazioni dei corpi, espressioni quasi caricaturali dei visi con nasi appuntiti, bocche storte, occhi strabuzzati...

Una delle ultime copie del Cenacolo è questo mosaico di Giacomo Raffaelli nella
chiesa dei Minoriti a Vienna, commissionato nel 1809 da Napoleone Bonaparte durante il suo soggiorno in quella città e basato sul disegno “dal vero” di Giuseppe Bossi.



A questi esempi voglio aggiungere un particolare in bianco e nero (non ho trovato un ingrandimento a colori di buona qualità) di una delle primissime copie dell’Ultima Cena, quella dipinta da Marco d’Oggiono all’inizio del sec XVI (oggi di proprietà del Louvre ma esposta al castello di Ecouen in Francia). Da notare il fatto che è una delle pochissime a riprodurre in modo dettagliato anche il decoro blu sulla tovaglia (un’altra, di anonimo, si trova presso la Soprintendenza di Milano).




Se confrontiamo il polso di Pietro in questa versione con quello del dipinto di Leonardo, possiamo notare che la versione di Marco d’Oggiono appare la più simile all’originale, mostrando infatti con evidenza sia l’ombreggiatura dell’avambraccio che la piega del mantello di Pietro sulla destra. In questa copia, come in diverse altre anche se con meno evidenza (Giampietrino, Magni, Abbazia di Tongerlo), si notano i laccetti del coltello.



Ecco infine uno schema delle mani degli apostoli nell’Ultima Cena, ogni personaggio mostra entrambe le mani e non ci sono mani in più o in meno:



A questo punto le prove storico artistiche dovrebbero bastare ad escludere la fumettistica e fantascientifica presenza di un “mister-x”, un quattordicesimo personaggio nascosto tra gli apostoli e del quale spunterebbe solo una mano armata di coltello.

Invece no. C’è chi non demorde e addirittura produce dissertazioni mediche e anatomiche per arrivare a dimostrare che un braccio nella realtà non si può piegare in quel modo, dunque se nel mondo reale ciò è impossibile si deve dedurre che Leonardo non può aver ideato una tale posa per il personaggio di Pietro e aver poi dipinto un braccio così sbagliato.
L’articolo è intitolato
La mano dell’apostolo Pietro nel Cenacolo di Leonardo da Vinci e nella copia del Giampietrino e dell' Anonimo di Ponte Capriasca e si trova in un sito web ufologico, tra lunghe discussioni sull’autopsia dell’alieno di Roswell e sui palloncini... opps! flottillas di UFO avvistati in Messico. Nel forum del sito però si trovano anche discussioni sull’ipotesi che Gesù in realtà fosse Giovanni di Gamala il Galileo, sul fatto che Gesù e gli apostoli non sarebbero mai esistiti e sul matrimonio (con prole) di Gesù con Maria Maddalena.
L’autore dello studio sul braccio di Pietro è Ferruccio Rondinella, Specialista in Ortopedia e Dirigente medico ospedaliero del SSN. Non starò a ricopiare tutte le motivazioni anatomiche, formulate oltretutto senza la minima conoscenza del notissimo schizzo preparatorio di Leonardo per il braccio di Pietro, e neppure di altre copie dell’opera oltre a quelle del Giampietrino e di Ponte Capriasca, semplicemente riporto la conclusione:
“la mano che impugna il pugnale nel Cenacolo di Leonardo da Vinci non può appartenere al personaggio Pietro.” Il Dott. Rondinella aggiunge poi che “resta, come unica spiegazione plausibile - ma solo in via ipotetica e teorica – degli strani e anomali rapporti tra la mano e la restante parte dell’arto, un’improbabile grave deformità post-traumatica”.
Ho letto bene? “
un’improbabile grave deformità post-traumatica” nel personaggio di Pietro che compare in un dipinto?. Come si fa a diagnosticare una malattia a un dipinto? Forse Rondinella intende il modello ritratto dall’artista? Anche il questo caso l’unica “malattia” certa dell’Ultima Cena è il fatto documentato che dell’originale pittura di Leonardo rimane ben poco.
E a parte questo, è davvero impossibile quella postura o semplicemente i copisti (soprattutto i copisti scelti dal dott. Rondinella) hanno, come ha affermato Pietro Marani, frainteso “un difficilissimo esercizio di prospettiva”?

Qualche tempo fa, in seguito ad una discussione su questo argomento, avevo provato a mettermi in quella posa, fotografandomi da solo davanti a uno specchio con un giubbino dalle maniche larghe che pensavo potesse, meglio di altri indumenti, simulare il panneggio dell’abito di Pietro. La cosa più complicata fu riuscire a mantenere la posa mentre scattavo. Non essendo mancino come Leonardo ho infatti avuto qualche difficoltà ad impugnare la fotocamera digitale scattando con la mano sinistra, ma questo è stato il primo risultato:



Sullo sfondo l’ingranditore fotografico e pacchi di carta in bianco e nero, oggi quella attrezzatura da camera oscura è purtroppo finita in solaio a causa dell’avvento della fotografia digitale.

Per ottenere una posa più simile a quella di Pietro avrei dovuto piegare di più il busto in avanti, ma poi non sarei riuscito ad inquadrarmi bene nello specchio.
Allora ho provato a rimettermi in posa, cercando di arrivare ad una inclinazione del polso più vicina a quella visibile nell’Ultima Cena. Ecco le foto più recenti, scattate questa volta con una
reflex Canon, più grossa e difficile da manovrare con la mano sinistra, ma con una maggiore definizione:





Da sinistra, lo schizzo preparatorio, il dipinto di Leonardo (o meglio, ciò che ne resta) e la copia di Marco d’Oggiono, a confronto con le mie foto soprastanti.
Sono davvero pose impossibili se messe al confronto con le mie? Io non sono certo un contorsionista, e neppure sono affetto da una “grave deformità post-traumatica”, eppure sono riuscito, senza l’aiuto di estranei, a mettermi in quella posizione riuscendo contemporaneamente a scattare la fotografia davanti allo specchio.

Per finire... che senso ha affermare che Leonardo “non può” aver dipinto quel braccio osservando oltretutto ciò che dell’originale leonardesco è rimasto in modo lacunoso, incompleto e in molti casi pesantemente e più volte ritoccato durante i secoli?

Leonardo non era certo dotato del dono dell’infallibilità, e lo dimostrano i disastri tecnici che hanno portato alla rovina della
Battaglia di Anghiari e dell’Ultima Cena.
Ma anche in fatto di proporzioni umane la stessa
Ultima Cena contiene evidenti errori. Non solo nelle fisionomie e nelle posture dei personaggi, che come ha ben descritto Kenneth Clark, sono stati in molti casi irrimediabilmente devastati dalle ridipinture settecentesche, ma anche nelle dimensioni di certi gruppi, decise non dai ritoccatori ma dallo stesso artista.
Provate a confrontare il gruppo composto da Pietro, Giuda e Giovanni con i due alle estremità del tavolo. Cosa si nota?





Le dimensioni dei corpi nel gruppo di Pietro, Giuda e Giovanni sono molto inferiori rispetto agli altri apostoli, nonostante questi si trovino tutti più o meno alla stessa distanza dall’osservatore e a diretto contatto con il tavolo. In confronto con gli altri personaggi questi tre mostrano teste di dimensioni ridotte; Giuda, il personaggio che più si protende verso chi guarda e che quindi dovrebbe apparire più grande, addirittura ha un corpo molto piccolo e una testina minuscola non spiegabile con il semplice scorcio prospettico o con il fatto che dell’originale di Leonardo in quel viso rimanga ben poco.



Tra gli storici dell’arte c’è chi ha spiegato questa evidente discrepanza nelle dimensioni con la possibilità che Leonardo abbia dipinto per primo quel gruppo, il principale della scena del quarto vangelo in cui sono citati solo quei tre apostoli. Gli altri personaggi sarebbero stati dipinti in un momento successivo e in dimensioni maggiori perché diversamente sarebbero risultati troppo distanti tra loro e piccoli rispetto all’ambiente. In certe copie gli allievi sembrano aver corretto questo “errore”, ridimensionando il gruppo di Pietro, Giuda e Giovanni per portarlo alle stesse proporzioni degli altri.
Ma secondo Pietro Marani vi sono anche altri difetti prospettici e dimensionali: “la testa di Tommaso, per esempio, che pur dovrebbe trovarsi più in profondità, è invece più alta di quella del Cristo”.

Errori di Leonardo? Certo possono essere errori dal punto di vista del calcolo prospettico e dimensionale, ma, diciamo la verità... qualcuno ci aveva fatto caso? oppure in un’opera del genere, realizzata in varie riprese durante tre anni, quello che è importante è l’effetto generale della raffigurazione dei “moti dell’animo”, come inteso da Leonardo e non la perfetta corrispondenza anatomica con la realtà?


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- Lo bono pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l'homo e il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile perché s'ha a figurare con gesti e movimenti delle membra.

- Sieno le attitudini degli uomini con le loro membra in tal modo disposte, che con quelle si dimostri l'intenzione del loro animo.

- Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell'animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile.

(Leonardo da Vinci)


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Bibliografia:


Pietro C. Marani (a cura di),
Il Genio e le Passioni, Leonardo e il Cenacolo, precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, Skira, Milano, 2001.

Pietro C. Marani, Leonardo, una carriera di pittore, Federico Motta Editore, Milano, 1999.

Pietro C. Marani,
Il Cenacolo, Guida al Refettorio, Electa, Milano, 1999.

Pinin Brambilla Barcilon, Pietro C. Marani, Leonardo, L’Ultima Cena, Electa, Milano, 1999.

Carlo Pedretti (a cura di),
Leonardo, il Cenacolo, Giunti, Firenze, 1999.

Federico Zeri (a cura di),
Leonardo, l’Ultima Cena, Rizzoli, Milano, 1998.

Carlo Pedretti (a cura di),
Leonardo: studi per il Cenacolo dalla Biblioteca reale nel Castello di Windsor, Electa, Milano, 1993.

Giuseppe Bossi,
Del Cenacolo di Leonardo, libri quattro, Milano, dalla Stamperia Reale, 1810

Domenico Pino,
Storia genuina del cenacolo insigne dipinto da Leonardo da Vinci, Milano, per Cesare Orena nella Stamperia Malatesta, 1796.



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