Pubblicato in "Giovan Battista Aleotti e l'Architettura", Edizioni Diabasis, 2003


Diego Cuoghi


GIOVAN BATTISTA ALEOTTI A SCANDIANO

Risale agli ultimi anni del sedicesimo secolo il forzato abbandono di Ferrara e Comacchio da parte degli Estensi. In seguito alla Convenzione faentina questi vengono infatti estromessi dal papa Clemente VIII, per ragioni dinastiche, dalla città d’origine, e la signoria estense si ritrova ristretta ai soli feudi imperiali di Reggio e Modena. Ma mentre a Modena il nuovo duca Cesare D’Este, non ancora rassegnato alla perdita di Ferrara e del suoi splendidi palazzi, mal si adatta al trasferimento della corte nello scomodo e rozzo “Castello”, e ancora non decide di intervenire per trasformare questa residenza in Palazzo, molti feudatari estensi sembrano invece essere intenti a realizzare grandiosi progetti edilizi. I Bentivoglio a Gualtieri edificano, su progetti di giovan Battista Aleotti e Antonio Vacchi, il palazzo, la chiesa e la grandiosa piazza porticata, «splendida avancorte organizzata già come place royale»,2 e a Scandiano, già nei primi anni del ’600, il marchese Giulio Thiene progetta di ampliare la rocca fino a farla diventare un sontuoso palazzo, sovradimensionato rispetto alla importanza politica di questo feudo.


Anche se il palazzo di Scandiano è comunemente conosciuto come “Rocca dei Boiardo”, l’aspetto attuale di questo edificio è quello che risulta dagli interventi operati soprattutto dai Thiene, nobile famiglia di origini vicentine che governa questo feudo dal 1565 fino al 1623. Scandiano, dopo la fine della dinastia Boiardo nel 1560, torna sotto il controllo diretto della Camera Ducale Estense e solo nel 1565 Ottavio Thiene, nobile vicentino e marito di Laura Boiardo, ottiene la contea di Scandiano e ne prende solennemente possesso nel 1567.3

La forma che la rocca ha poi assunto e che presenta ancora oggi, con l’ampliamento della parte monumentale a sud comprendente la grande facciata incompiuta e il torrione, si deve però all’iniziativa di Giulio Thiene, che governa Scandiano dal 1574 al 1619. Risulta piuttosto complicato ricostruire con esattezza la figura di questo personaggio.4 Molti storici infatti lo confondono con un omonimo cugino, Giulio da Thiene, militare al servizio del duca Della Rovere, già impegnato nella guerra combattuta tra Chiesa, Francia e Ferrara contro Spagna e Impero (Lega Sacra) nel 1557. Le numerose lettere autografe di quest’ultimo, conservate presso l’Archivio di Stato di Modena assieme a quelle dell’omonimo marchese di Scandiano, hanno fatto sì che i due personaggi, quasi contemporanei, siano stati spesso scambiati.

Una serie di progetti, piante della rocca, lettere dal cantiere, conservati presso l’Archivio di Stato di Modena, testimoniano la grandiosità delle intenzioni di Giulio Thiene per la rocca di Scandiano: due grandi corpi di fabbrica a sud e a est e una imponente chiesa con pianta a croce greca dovevano racchiudere un nuovo cortile porticato; due torri simili a quella già edificata sarebbero state erette per chiudere le nuove facciate, quella sud rivolta verso il monte e i territori di caccia, e quella est affacciata su di una grande piazza porticata, simile a quella già realizzata dai Bentivoglio a Gualtieri; uno scalone monumentale avrebbe condotto ai piani nobili e in particolare alla grande “sala nuova”.5
Giulio Thiene però muore nel 1619, in seguito alle ferite provocate da un incidente con la carrozza e alle complicazioni dovute alla gotta,6 lasciando erede il figlio Ottavio II, ma arriva comunque a vedere realizzati gli appartamenti dell’angolo sud-ovest, compresa la torre angolare e la prima parte dell’estesa facciata verso il monte. Questa parte della rocca alla sua morte doveva infatti essere già ultimata, come documenta un inventario redatto nel 1620, nel quale vengono descritte come arredate e tappezzate di recente le “camere nove” vicino alla “torre nova”.7
Ottavio II Thiene, così come il padre, governa questo feudo da Ferrara, dove risiede nel Palazzo Schifanoia8 (situato nella via chiamata “Scandiana”), ma ne viene a prendere solenne possesso solamente un anno dopo, il 5 novembre 1620. Mentre nel 1623 fervono i lavori alla fabbrica della rocca il marchese Ottavio, da anni sofferente di gotta come il padre, muore senza eredi maschi, cosi che il feudo ritorna sotto il controllo della casa d’Este. I lavori alla “fabbrica della rocca” proseguono a rilento negli anni successivi, finanziati dalla Camera Ducale Estense, sotto il cui controllo Scandiano rimane per undici anni, e verranno ripresi in modo deciso soltanto nel 1634 dopo l’insediamento del nuovo feudatario Enzo Bentivoglio.

I progetti della Rocca Nuova (1600 - 1623)

I progetti per l’ampliamento della Rocca sono documentati da una serie di sei piante, quattro delle quali sono conservate presso l’Archivio di Stato di Modena, mentre altre due si trovano presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara.9
Nella prima delle piante conservate a Ferrara (ill.2) viene rappresentato lo stato di fatto della rocca assieme agli elementi di nuova progettazione.10 Anche ad un superficiale confronto calligrafico risulta evidente la corrispondenza tra la scrittura presente in questa pianta con quella di Giovan Battista Aleotti ricavata da diversi documenti autografi.
Sappiamo che Aleotti nei primi decenni del ‘600 è in stretti rapporti, oltre che coi Bentivoglio, anche con il marchese Giulio Thiene. Le prime testimonianze reperite riguardanti i contatti tra l’architetto e il marchese di Scandiano sono accenni indiretti, contenuti all’interno di numerosissime lettere indirizzate da Aleotti ad Enzo Bentivoglio.11 Per questo feudatario Aleotti sta seguendo, oltre alla edificazione del palazzo, della chiesa e della piazza di Gualtieri, un impegnativo progetto di bonifica di vasti territori nel ferrarese.12
In una lettera datata 19 dicembre 1599 Aleotti afferma che a Ferrara «dormono le cose come al solito, et quando vi sarà il marchese di Scandiano spero mandargli il disegno de la rocha che quest’huomo pensa di fare».13 E’ quindi evidente che già alla fine del ‘500 l’architetto è impegnato in lavori commissionati dal marchese di Scandiano. In molte altre lettere scritte negli anni seguenti viene citato Giulio Thiene, mentre la prima scritta da Scandiano è del 1604; altre missive inviate da Scandiano, o nelle quali si fa cenno a soggiorni in questo paese o a commissioni eseguite per il marchese Thiene, sono datate tra il 1607 e il 1620. Si può quindi ritenere probabile una data tra il 1599 e il 1604, per la mappa conservata a Ferrara, e ipotizzare con una certa sicurezza che Aleotti sia stato chiamato a Scandiano nei primi anni del diciassettesimo secolo per realizzare l’ampliamento voluto da Giulio Thiene.14 L’architetto ferrarese deve poi essere tornato a Scandiano in diversi momenti per modificare i progetti e seguire l’andamento dei lavori del cantiere, fino al 1623 anno in cui i lavori vengono interrotti a causa della morte dell’ultimo discendente della famiglia committente.


Il primo progetto di Aleotti (ill.2) presenta l’edificio originale quasi raddoppiato verso est con l’edificazione di una nuova ala, che racchiude un giardino, e di due torri simmetriche a chiudere la facciata sud. Queste torri sono angolate come quelle realizzate alla Mesola fra il 1578 e il 1583 da Marcantonio Pasi, coadiuvato da Aleotti come direttore dei lavori.15
Un abbozzo di quello che in seguito diventerà il grande scalone è visibile all’interno della torre vecchia, che in questo progetto viene sventrata per far posto ad una ampia scala a base rettangolare. La nuova ala sud-est, con il nuovo giardino circondato da logge, invece viene progettata ex-novo. Due ponti vanno a scavalcare il grande fossato che avvolge la rocca lungo i lati sud e est. Proseguendo verso nord il fossato va poi a costeggiare un lunghissimo edificio, che viene collegato alla porta della città e ai bastioni est, suddiviso in tre ambienti principali adibiti rispettivamente a “stalla” con relativa “selleria”, “stanza per 300 carra di fieno”, e “stanza per le carrozze”, separati da piccoli cortili porticati.
Il secondo disegno conservato a Ferrara16 invece rappresenta esclusivamente la parte della nuova progettazione dell’angolo sud-est. È visibile all’estrema sinistra una seconda proposta per la realizzazione di quello che sarà poi lo scalone monumentale, rappresentato qui in forma di chiocciola a base quadrata, al quale si prevede l’accesso tramite una rampa che parte dal piano terra e che nel progetto è visibile alzando una striscia di carta.
Questa pianta può essere databile ad anni di poco precedenti al 1620; fa già riferimento infatti ad una maggiore profondità dell’ala sud dovuta certamente alla avvenuta edificazione dell’angolo di sud-ovest, con la “Torre Nova” e le “camere nove”, la cui esistenza all’epoca è documentata dall’ Inventario di tutti i Beni del Marchese Giulio Thiene redatto nel 1620.17 Le “camere nove” vengono descritte come già arredate e, a differenza delle vecchie stanze, che presentano ancora «apparamenti di corame d’oro, usi e vecchi», sono rivestite con ormesino, damasco, teletta di Napoli o cendalina, facendo intendere che la loro realizzazione deve risalire a pochi anni addietro. Questo inventario fornisce anche un’altra preziosa informazione, in una delle stanze del piano nobile vengono infatti censiti «il modillo e dissegno della fabrica di legno» e «il dissegno e modillo della scala di legno», facendo intendere che l’attività del cantiere è in pieno svolgimento.
Un successivo e più importante progetto è quello rappresentato nella Pianta ultima della Rocca di Scandiano conservata all’Archivio di Stato di Modena18 (ill.3). La definizione di “pianta ultima” che compare nel retro del disegno non deve far pensare al progetto finale reso poi esecutivo; vedremo infatti come diverse altre varianti siano state redatte in seguito. In questo disegno lo scalone assume una forma mistilinea estremamente complessa, inoltre la rampa ha inizio non più all’interno di una sala d’ingresso come nel caso precedente, ma direttamente dalla loggia del cortile vecchio, con una sinuosa forma ad S.


L’aspetto più interessante di questo progetto, oltre la dilatazione smisurata della nuova ala est, che diventa, in questa proposta, lunga quasi 120 metri come la facciata sud, è la massiccia presenza all’estremità nord di una chiesa con pianta a croce greca che si affianca alla preesistente parrocchiale, dedicata alla Madonna. La nuova chiesa (la cui forma si rifà palesemente a quella pubblicata nel V Libro dell’Architettura di Sebastiano Serlio, nel capitolo dedicato alla architettura religiosa) viene poi unita, con una loggia aperta, ad un edificio che ne ripete per metà la stessa pianta, contenente il “corpo di guardia”, e, per mezzo di un lungo corridoio, agli appartamenti disposti verso est. Una seconda versione della parte nord, che presenta solo lievi modifiche rispetto alla prima, è parzialmente incollata sullo stesso progetto. In entrambe le varianti, oltre al dispiegamento di una moltitudine di scale dalle forme rettilinee, circolari, rettangolari, esagonali, si può notare in bella evidenza un piccolo “cortiletto scoperto”, che si trova al centro di quello che appare un appartamento privato, a contatto con la galleria e con i grandi saloni che si dispongono verso sud.
Una ulteriore versione dello stesso progetto è visibile in una altra grande pianta della rocca,19 databile intorno al 1620, che presenta come unica variante di rilievo la forma dello scalone che finalmente assume la sua definitiva forma circolare (ill.4). Questo disegno, anche se non si può attribuire ad Aleotti come i precedenti (appare infatti realizzato da una mano più incerta, e con un lessico architettonico meno corretto e potrebbe quindi essere stato eseguito da un collaboratore) risulta molto interessante perchè mostra chiaramente, distinte da differenti colori, due diverse parti della rocca. L’ala già terminata è quella a sud-ovest, dal torrione allo scalone, mentre ancora da edificare appare tutta la parte rimanente della facciata sud.
A Modena è conservata anche un’altra mappa di notevoli dimensioni20 nella quale viene illustrato un progetto urbanistico che coinvolge non solo la cosiddetta “Rocca Nuova” ma tutto il paese di Scandiano (ill.5). Gli edifici sono rappresentati nella loro semplice volumetria, non permettendo quindi di identificare ambienti al loro interno. La dicitura parla di «Rocca vecchia et nuova insieme» e la facciata est si affaccia su una grande «piazza nova». Il fossato continua a circondare tre lati dell’edificio e si estende attorno a tutto il vecchio borgo chiamato “castello”, che viene rappresentato ancora cinto da mura e bastioni. Lungo la strada principale si estende la grande stalla che riproduce quella già rappresentata nella prima pianta, e che quindi si può supporre essere l’unico degli elementi del primo progetto effettivamente realizzato.


In questa pianta la “Rocca Nuova” risulta ridimensionata; viene eliminato infatti il secondo “cortile nuovo”, e la torre di nord-est viene spostata verso il basso, nel punto in cui è stata schizzata a matita nei progetti precedenti. Anche la nuova chiesa viene spostata verso sud andando a posizionarsi al posto che occupava l’edificio definito come “corpo di guardia”, ora eliminato dal nuovo progetto. L’aspetto più interessante è però il disegno dell’intero paese di Scandiano, che si prevede di espandere verso est con la realizzazione di nuovi quartieri dalla forma regolare e simmetrica. Viene dislocato, proprio in fronte alla nuova facciata est, quello che appare l’elemento urbanistico di maggior rilievo dell’intero progetto, una grande piazza porticata simile a quella già realizzata da Aleotti a Gualtieri.
Una pianta della rocca databile con maggiore precisione è quella che rappresenta lo stato dei lavori al momento della morte dell’ultimo marchese Thiene, nel 1623 (ill.6).21 La datazione si basa sul confronto con una relazione di Antonio Vacchi dal cantiere di Scandiano, indirizzata alla Camera Ducale Estense che aveva appena ripreso possesso del feudo.22 Le stesse informazioni che vengono fornite nel testo si ritrovano (con la stessa calligrafia) anche nella pianta, che si può presumere realizzata contemporaneamente.


Lo Scalone monumentale nei progetti e nei documenti d’archivio

Nelle relazioni di Antonio Vacchi vengono descritti i lavori allo scalone, dicendo che mancano gli «schalini de malmore de la scala nuova». Inoltre parlando delle maestranze che sono state già pagate dal marchese, Vacchi cita «Il taliapietra viva che lavora acomodare i scalini dela scala di malmere (...). Il scultore che à de già fenito le statue di nichi pecenine che son dietero à deta schala» e afferma che resta ancora « da fare de più grande con uno cavale in mezzo alla cima dela schala con il S.re Marchese in cima». Lo stesso scultore, afferma Vacchi, «dice che ave hordene, ha detto che s’opera resta, e venga da V.S.Ser.ma per avere ordene de quale avere a fare», cioè desidera sapere se deve continuare il lavoro assegnatogli dal marchese Thiene o considerarlo annullato in seguito alla morte del committente.
Gli accenni alla statua equestre confermano una diversa struttura dello scalone originale; oggi infatti il pianerottolo superiore non appare abbastanza spazioso da poter ospitare una tale scultura, ma al centro dello scalone, nelle due piante riprodotte nelle figure 4 e 5, è ben visibile uno spazio circolare che avrebbe potuto contenere il monumento equestre del marchese Giulio Thiene. Inoltre la rampa rappresentata nella pianta disegnata nel 1623 da Vacchi non è quella che oggi possiamo osservare in quanto, pur svolgendosi all’interno dello stesso anbiente perfettamente circolare, segue una forma a chiocciola (ill.6). Questa pianta descrive la situazione della “fabbrica” e si può quindi pensare che in quell’epoca lo scalone, non ancora terminato, stesse assumendo la forma qui rappresentata. La supposizione è confermata dall’esistenza di un piccolo ambiente a piano terra, con due nicchie e una copertura a cupola, oggi usato come magazzino. Si tratta certamente di ciò che rimane del primitivo ingresso, infatti sono ancora visibili i segni di una rampa, poi demolita, che si dirige verso l’attuale scalone nella direzione indicata dal progetto. La stessa rampa è rappresentata come ancora esistente in un rilievo del 1831.23

Altre informazioni si possono ricavare dalle filze chiamate “Fabbriche e Villeggiature”, nelle quali si trovano documenti che confermano il prolungarsi negli anni della realizzazione della scala di marmo. Nella busta n° 69, assieme alle già citate lettere di Vacchi, sono raccolti vari appunti di Prospero Pacchioni datati tra il gennaio e il maggio del 1625. Egli parlando dei lavori effettuati a Scandiano dice che farà «fare gli scali per la scala di Scandiano conformi le misure datemi dal Sig.r Antonio Vacha quando si ando à Verona à hordinar li pietri per detti conforme la sagomatura della sagoma ultimamente dattami da esso S.r Vacha».24 Alla lettera è allegata la sagoma di uno scalino, che contiene le misure e le indicazioni di Antonio Vacchi per la realizzazione di questi manufatti. Anche questi appunti confermano che la forma originaria dello scalone doveva essere inizialmente quella a chiocciola semplice che compare nella pianta della rocca del 1623; sono descritti infatti gli «schalini de la schala de malmer dela fabricha dela rocha di Schandiano» e si dice che «il largo va a man destra andando su per la schala».
In un documento che elenca i «Provvigionati dal Sig. Marchese di Scandiano», databile intorno al 1623 e contenuto per errore in una filza relativa ai Boiardo, si trovano accenni allo scultore chiamato Gio. Batta Poncelli, che ha «fatto le 16 statue della scalla nuova. [...] et doveva ultimam.te fare un cavallo con il Marchese Giulio che doveva essere posto sopra la tromba della scalla»25. Il documento parla di 16 statue, quindi si riferisce a quelle, oggi mancanti, destinate alle sedici nicchie piccole (già definite da Vacchi come “nichi pecenine”). 26 Dagli archivi di Cassa Segreta si è ricavato un successivo documento relativo alle statue dello scalone: il pagamento nel maggio del 1625 di Lire 600 allo «scultore che ha fatto sei statue a Scandiano, et ha nome Gio. Batt.a Pontelli».27 Queste ultime sculture possono essere le quattro grandi statue in cotto raffiguranti i Thiene, che si affacciano sullo scalone, e quelle che probabilmente occupavano le due nicchie dell’ingresso originale.
Un ultimo documento riguardante lo scalone è un disegno che rappresenta una balaustra con colonnine28; sul retro, assieme ad una scritta di Antonio Vacchi che lo definisce come «Balustrata dela Scala de Schandiano» si trova un disegno che appare come un primo abbozzo delle edicole che contengono le grandi nicchie.
Non sappiamo se lo scalone assume l’attuale forma a due rampe durante i lavori che proseguono negli anni immediatamente successivi, sotto il controllo della Camera Ducale Estense, oppure se si deve attribuire questa variante all’iniziativa di Enzo Bentivoglio che prende possesso di Scandiano dieci anni dopo. Gli inventari della rocca conservati a Ferrara nell’Archivio Bentivoglio permettono solamente di affermare che il nuovo marchese fa eseguire certi lavori al piano nobile, suddividendo la “sala vecchia” in tre ambienti, e che le stanze immediatamente adiacenti allo scalone non vengono censite nel primo inventario dei Bentivoglio del 1634, fatto che porta ad ipotizzare una loro parziale inagibilità a causa di lavori in quella parte dell’edificio. Una strettissima rassomiglianza è poi evidente tra l’attuale aspetto dello scalone di Scandiano e quello rappresentato, ma poi non realizzato, nei progetti per Palazzo Bentivoglioa Ferrara: un grande ambiente circolare con doppia rampa di scale a tenaglia (ill.9).29

Aleotti progettista della Rocca Nuova

Nonostante la corrispondenza calligrafica confermi il fatto che molti dei progetti della rocca di Scandiano sono stati realizzati da Giovan Battista Aleotti, nessuna fonte, fino a questo punto della ricerca storica, ha fornito la precisa citazione del nome del progettista. Sappiamo che Antonio Vacchi, collaboratore di Aleotti e dal 1619 Ingegnere Ducale, è operante a Scandiano negli anni in cui questo feudo torna sotto il controllo della Camera Ducale Estense, ed è quindi probabile che venisse incaricato di portare a termine i lavori iniziati precedentemente da altri.
Molte conferme all’ipotesi di Aleotti come progettista vengono inoltre dalle numerose lettere scritte dall’architetto al marchese Enzo Bentivoglio, che in modo indiretto documentano gli stretti rapporti tra Aleotti e il marchese Giulio Thiene tra la fine del ‘500 e il 1621. In molti casi si accenna a soggiorni a Scandiano e a commissioni fatte per il marchese Thiene, due in particolare risultano scritte da Scandiano (nel 1604 e 1620).30
La presenza di Aleotti a Scandiano è segnalata anche da Campori, il quale afferma che i canonici del Duomo di Carpi, impegnati nel progetto per la cupola del Duomo, chiamano «da Scandiano nel 1619 l’architetto ferrarese G.B. Aleotti, ma è ignoto quale consiglio egli desse in quel proposito».31 Aleotti risulta quindi risiedere non solo occasionalmente a Scandiano all’epoca in cui vengono edificate le “camere nove”, la facciata sud della rocca e lo scalone.
Uno studioso che si è diffusamente occupato di Giovan Battista Aleotti è Vittorio Camerini, che in un suo saggio del 1979, tra le opere attribuite ad Aleotti inserisce, unico tra gli coloro che si sono occupati dell’architetto ferrarese, il “torresino” della rocca di Scandiano, il piccolo coronamento del torrione di sud-ovest.32 Direttamente interpellato riguardo questo argomento Camerini ha poi gentilmente fornito, oltre ad una riproduzione del disegno del «torresino», conservato presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara, una ulteriore e importantissima segnalazione relativa ad altri documenti di Giovan Battista Aleotti conservati nella stessa città presso l’Archivio Storico del Consorzio di Bonifica.
Una approfondita ricerca presso quell’archivio ha infine permesso il reperimento di un fondamentale documento, datato 16 maggio 1620, nel quale l’architetto cita esplicitamente i lavori da lui già realizzati in quella “fabbrica” e quelli ancora da terminare. Con questa relazione Aleotti espone ad Ottavio Thiene lo stato dei lavori alla rocca, finalizzati principalmente al prossimo ingresso solenne del nuovo feudatario a Scandiano.

La relazione di Aleotti a Ottavio II Thiene

L’inedito documento ritrovato ha così permesso di fugare ogni dubbio sulla presenza di Giovan Battista Aleotti quale architetto al servizio dei marchesi di Scandiano durante tutta la realizzazione della cosiddetta “rocca nuova”, voluta da Giulio Thiene, proseguita dal figlio Ottavio II e interrotta alla morte di quest’ultimo nel 1623.
La relazione è contenuta nel terzo tomo di una raccolta curata da Alberto Penna, amministratore pubblico e storico ferrarese, nella metà del ‘600 dal titolo Scritture d’acque ferraresi. Questa opera, divisa in dieci tomi (alcuni conservati presso l’Archivio Storico del Consorzio di Bonifica e altri presso l’Archivio di Stato di Ferrara) contiene «relazioni, lettere, diari, editti, capitoli, note, disegni, misurazioni, scritture, estimi progetti, preventivi di spesa, visite d’acque; tutti documenti comunque riguardanti la situazione idraulica del ferrarese».33 Tutti escluso il manoscritto di Giovan Battista Aleotti, che l’indice definisce Relazione all’Illustrissimo Signor Marchese di Scandiano e che porta la data del 16 maggio 1620.34
Il marchese a cui è indirizzato è Ottavio II Thiene, divenuto signore di Scandiano nel settembre del 1619 in seguito alla morte del padre Giulio. Ottavio, come già i suoi predecessori, governa il feudo da Ferrara, per mezzo di un “ministro” scandianese, ma le cronache riportano che viene a prendere ufficialmente possesso di Scandiano oltre un anno dopo, nel novembre del 1620. Il motivo di questa lunga attesa viene ora ad essere chiarito dalla lettura del documento di Aleotti: la rocca è un grande cantiere aperto e i lavori per la realizzazione della facciata sud e dello scalone sono ancora in corso. Difficilmente il marchese avrebbe avuto decorosa accoglienza in un edificio realizzato per metà, parzialmente demolito e occupato da una quantità di operai, falegnami, scalpellini e artisti impegnati nella realizzazione del palazzo immaginato da Giulio Thiene.
Aleotti, che nel 1620 ha 74 anni e ha già realizzato le sue opere principali, come il Teatro Farnese di Parma (1618) e la chiesa di S. Carlo a Ferrara (1613), scrive a Ottavio II Thiene illustrando lo stato dei lavori in vista del solenne ingresso del feudatario a Scandiano, che dovrà avvenire nel novembre dello stesso anno:

 

All’ Illustrissimo Signore Marchese di Scandiano

Adi 16 Maggio 1620

Ill.mo S.re et padr.e mio Coll.mo,
Risposi a V.S. Ill.ma dà Scandiano col rittorno di m. Alberto Morelli suo strozziere à quelle parti delli ordini (ch’ella si compiacque darmi quando vi andai) che havevo eseguiti, et hora che sono tornato di là rifferisco a V.S. Ill.ma quello che allora non si era fatto ancora, cioè.
Che prima che io mi sia partito gli muratori hanno armata la volta della scala con gli cintoni, ma non potarà andare inanti se V.S.Ill.ma non gli manda quella provvisione di grisuole che anticipatamente essi gli dimandarono, perchè ella sà che non nascono canne in questo paese. Et parmi d’haverli così bene informati di quello che essi hanno a fare per hora se già non sono più che ignoranti, onde bastarà ch’io gli rivegga quando saran su di stabilirla, poi che essi non ponno capire tanto, per haverlo ad eseguire di qua à quattro ò cinque mesi, et forse più.
Le volte delle cucine sono fatte, et se i cammini sgombreran bene i forni (poi che mi paiono alquanto stretti) spero che il resto riuscirà benissimo. Et perchè come ella sa si ha un transito dentro e fuori dalla Rocca, per una delle finestre della Rocca nova, io ho dato ordine che mastro Nicolò facci un pezzo di ponte dentro della fossa al diritto della porta,35 et facci la porta, o almeno una sempra, per poter tirar via quel transito, resta solo ch’ella ciò comandi, acciò si levi quel transito di tutte le genti che vengon et vanno alla Torresella et al Gesso: et se a lei parrà che s’esseguisca quanto havea detterminato il già signore Marchese suo padre di gloriosa memoria si farà ad essa porta un ponte che farà ponte e porta, d’essempio di che essa lo potrà vedere nell’ingresso della cittadella qui di Ferrara, che un tale ne feci in detto luogo alli anni prossimi passati.
Resterà che V.S.Ill.ma comandi che gli muratori solecitino di fornire la scala nuova perchè sia finita quando ella andarà a fare la sua entrata solenne a Scandiano, o né fossi dovran concorrere principi, cardinali et molte nobiltà.
In ciò debbo ricordare che senza i scallini la scala non si può finire onde però è necessario dar ordini che si faccino, overo dettermini di farli in pietra cotta, acciò nella corrente staggione si possono far le pietre alle fornaci. Si come debbo ricordarvi esser necessario dar ordine della ballaustrata dell’anima della scala perchè sia all’ordine quando sarà fatta la statua del cavallo, senza la quale la scala non sarebe finita. Il scultore havea principiato il modello d’una delle due figure che vanno nell’ingresso della scala,36 et il dissegno ho mostrato io a lei com’assai mi è piaciuto il modello, ch’egli facea ne la mia partita da Scandiano.
La facciata diffuori, quanto tiene la sala verso del Gesso, no si può finire senza farci la sua cornice onde però poi che mastro Nicolò e quanti assari, sarà necessario che si finisca per poter stabbilire quella facciata et disarmarla. La ringhiera che và sopra la porta verso il Gesso si dovrebbe fare di pietra viva ma perchè costaria assai et porterà tempo molto bisognerebbe darne qualche ordine. Si come conviene ch’ella sappia che il signore suo padre havea detterminato di farla di rovere la quale servirà per molti anni poi che ella sempre si potrà far di pietra, et questo a V.S.Ill.ma s’aspetta di detterminarlo.
Non ho lasciato ordine di voltare la sala nova poi che veggo i maestri molto occupati per quest’anno ma (occorrendo) farò quanto conviene, è ben vero che essendo coperta et coprendo il coperto di essa molte stanze per ufficij di casa, et per foresterie, sarà bene per comodo della sua casa il finire tutti gli alloggi compresi sotto detto coperto, a gusto et volontà di lei.
Ho visitato il fiume Secchia, i lavori che si fanno nel qual luogo per mano del signore Bernardino Malatesta suo servitore han fatto gran serramento, alla parte contigua ad esso dal lato di Scandiano onde parmi che detto Malatesta si porti molto bene, et glieli ho lodati assai per inanimirlo, mà conviene che V.S.Ill.ma talvolta non sempre comandi che bisognandoli qualche albero grosso gli possa havere quando princippia quei rippari. Lo stato della sudetta ripa è migliorato notabilmente et gli ho lasciato il mio parere per la manutenzione di detta ripa alla quale non lavora di presente perchè in campagna non si trova (per ancora) da mangiar per le bestie. Così anco a Trisinara la quale ho trovato in buon stato essendo che dissopra dal mollino di Fellegara il fiume ha fatto tregua nè più rode verso i crivelli dal stradone in giù et se bene pare che si accosti al mollino sopra la Botte per la quale passa l’acqua del canale che va a Reggio, nondimeno non gli fa danno nottabile.
Et se detto Malatesta continuarà (come gli ho dato il parer mio) in allongare le chiuse fatte in capo della via delle pioppe come gli ordinai l’anno prossimo passato d’ordine del signore marchese di Ferrara medesimo spero ch’egli assicurerà ottimamente quella parte, ma tra gli altri lavori gli ho lasciato ordine che farei un chiusone di muro sopra il volte della sudetta Botte, et questo sarà ottimo ripparo per la manutenzione di detto molino, à i quali ordini vi si tornò presente il signore Dottor Bertolano.
Sono anco stato alla Viezza,37 et quando pure V.S.Ill.ma dettermini che si facci un granaro in detto luogo ho considerato non potersi far meglio quanto fare un muro delli sassi (ch’ivi si trovano sul fiume) dietro al frontespizio dell hostaria, facendovi un coperto in un lato poi che in detto luogo ha legname in abondanza e sassi senza comperarli onde la spesa che in coppi, tavelle, et maestranza sarà leggieri, et il magazzino sicuro, et potrà tenere quivi 200, 300, et più moggia di formento perchè si terrà in terra et basterà farvi un muro che in gronda sia solo alto braccia 4; et sparagnerassi l’affitto della casa, et la spesa di portar su il granaro, i formenti, et quelli del portarli giù, il che importerà assai, ch’a far solari in quella casa dell’hostaria si farà forse maggior spesa, non si farà granaro per più di 50 overo 60 moggia, s’incomoderebbe quell hostaria et dio sa che i muri di essa regessero il peso. oltre che la spesa sarebbe altretanto grave (per parer mio) di danno all hostaria et di manc’utile al servitio di V.S.Ill.ma.
Ho visitato la strada dove Trisinaro la tira giù in luogo detto il Fracollino (se però non erro) per andare da Arceto à Scandiano et gli dirò essere necessarissimo il provedervi non con chiuse e rippari di Bercoli ma con tre o quatro sproni di muro per non perdere la dirittura della medesima strada per la quale non si può passare con carrozze e carri senza qualche pericolo et perchè il signore marchese di buona memoria havea comandato anche lui che ad ogni modo volea che si mantenesse colui che ivi ha il suo campo non vi metterebbe una sol mano per rippararla, e pure si tratta del suo interesse, et è interesse pubblico et belezza del paese il mantenere la dirittura di essa. Io direi che non fosse male per farlo concorere à qualche parte d’aiuto, che ella comandasse al sudetto Malatesta che palinasse una nuova strada su quel campo mostrando di voler rittirare detta strada, che quanto maggior danno si mostrerà di farvi et la pallinata tanto più facilmente si tirerà il padrone del campo a contribuire alla spesa, alla quale la comunità di Scandiano forse starà renittente aducendo essere consueto il rittirarsi in caso di ruina che faccia il fiume non con la borsa del pubblico rippare i campi contigui delli interessati e pure come ho detto conviene rippararvi per non lasciare che detto fiume la tiri in ruina tottale. Et questo bisogna sia fatto quando V.S.Ill.ma andarà a Scandiano perchè ella possa passare senza pericolo nissuni et che sia per sempre assicurato.
Ho livellato la strada di San Gioseffo dalla via dei sassi fin in piazza et havevo meco mastro Tullio il quale ho lasciato informato di quanto s’ha ad abassare in ogni parte, la qual strada si come ella diventarebbe la più bella parte di Scandiano così anco converrebbe sellegarla mà la spesa (rispettivamente) sarebbe grave massimamente per la parte a lei spettante per rispetto della gran longhezza della sua stalla nova.38 Et il proffilo è qui congiunto, il quale bisognerà mandare a m.ro Tullio con l’ordine di quello che s’havrà da esseguire d’ordine di lei che vi è Signore.
Ho considerato in oltre à quanto V.S.Ill.ma mi comandò intorno al fare una piazza nova per bisogno del castello essendo necessario tanto che non si può dire maggiormente stando che il letto di Trisinara è più alto della via delle pioppe circa 3 brazza, et quindi è che talvolta il fiume rompe et inonda la piazza che è nello stesso piano di detta via delle pioppe et ho ridotto il parer mio in dissegno, come V.S.Ill.ma vedrà, si come ho considerato et nottato in esso come si potrebbe cingere Scandiano di fossa con un arginello quasi che un terrappieno come si vede che stanno Cento, La Pieve, Santa Agata, Crevalcore, et altri luoghi.39
Ho anco considerato quanto sarebbe bene il stroppare la fossa vecchia del castello, et come sarebbe necessario (non lo facendo) ricavarla, spesa grave et poco utile, et forse danno alle convicine case perchè il movere quella palude che in essa si trova renderebbe fettore et forse caggionarebbe malatie a quelle genti che vi habitano; senza che dovendosi portar via la terra che si caverebbe con lei portare dè buona gravezza à contadini, angustiati dalle fabbriche necessarie della Rocca et dè fiumi onde per ciò hindicarei meglio stropparla con la torbida del fiume, et l’escavazione farla come in dissegno ella vede per sicurezza maggiore di tutte le case di Scandiano la maggior parte delle quali sono fuori del castello com’ella sà, che otturando detta fossa, et principiando un nuovo recinto di fosse d’intorno che mostrasse d’assicurar ogni uno forse puntezza né citadini i quali come vi acconsentissero di buona voglia sarebbe gran giovamento al disporre i contadini; mà questa scavazzione di fosse forse non si potrebbe fare in un ò due anni assai, onde la manifattura per grande che sia (rispettivamente) non parrebbe tanto grave. Et dal dar principio à cotale scavazione si conoscerebbe in lei un animo generoso di voler accomodare perpetuamente il castello di Scandiano a perpetua memoria di lei, essendo che (come ella dal dissegno comprenderà) ne verrà bellezza, et sicurezza tale al castel di Scandiano che maggiore non ha ricevuto da nissun suo antecessore mà serviggio maggiore non gli potrà fare nissun suo successore come dal proprio dissegno ella facimente comprenderà poi che s’agrandirà di case, di strade, di piazza et di circuito con magnificenza et con spesa dà suditi fattibile, con tempo. Et come (così ordindndo ella si debba diffare il portone di San Gioseffo resterà molto ben chiusa la terra com’ella vedrà, et la chiesa della Crocetta verrà dentro di essa et fuori si potrà fare il convento dei capuccini colà verso le case delli Usuardi. Il dissegno del portone da me fatto è lo incluso.
Restami a dire a V.S.Ill.ma che volendo ella fare qualche segno di straordinaria allegrezza nella sua entrata solenne andarei dubitando che il fare un abattimento d’un castello od una [...] ò cosa simile (com’anco in una mia dà Scandiano gli accenai, che non ci fosse per riuscire di quell’eccellenza che veggo convenirsi alla nobiltà et qualità sua per diffetto particullare d’huomini pratichi tanto di tal sorte d’esercitio militare che facessero restar sodisfatti i Principi d’Este, et l’altra nobiltà che vi si potrebbe ritrovare, onde però consiglierei V.S.Ill.ma piutosto à fare qualche accione scenica con qualche [...] apparente com’habbiam fatto talhora su la Sala grande di Ferrara per servizio del signore Enzo, ch’alhora non era cavaliere di tittolo et di grado com’ella è di presente, et se riguarda ben bene che forse non have ne occasione ne modo di fare quanto ella ha, et tiene di presente, perchè nella propria casa sua si troverà luogo capace, et tra dè suoi et de parenti et amici havrà modo di porre insieme habiti vestimenti et livree dà vestire i personaggi con quasi niente di spesa. Il che è parte di tutto il dispendio principale. Ella hà sù le posessioni in molti luoghi legnami che sè se ne taglierano per il bisogno et se si segarano dell’asse tutte poi serviran alla fabrica onde della spesa ch’altri suole gettare in così fatte cose ella non solo non la manderà a male mà servirà alla fabrica ottimamente et siamo sicuri che riuscirà in eccellenza et che apportarà gran sodisfazione à le genti del paese, cioè di Modena di Reggio et dè convicini paesi apportandovi V.S.Ill.ma novità a loro novissime piene di quei stuppori et di quelle meraviglie ch’ella sà ch’io ho fatte vedere quando ha fatto di bisogno. Mà volendo in ciò riuscire, sarebbe necessario havere molte assi sottili di pioppa per sparagnare i dannari che si spenderebero in asse di abete, mà bisognerebbe rissolvessi quanto prima et farle tagliare et segar subito per che si seccassero per poterle lavorare. So che in casa s’havran forse lenzuoli vechi che più non sono buoni et che à buon prezzo s’han delle tele grosse in paese et che li ferri che s’adoprerano serviran puoi anco alla fabrica, et per quanto s’aspetta à me di dire in ciò il parer mio loderei più assai un’azzione tale che qual si voglia altri, et quando pure s’havesse à fare una bataglia la farei navale,40 potendo noi havere l’acqua dal fiume et potendola tirare nel cortile novo a nostra volontà, nè parmi che altro vi mancasse che un poeta, mà sò che a lei non mancaran mai persone tali, onde basterà che si disponga che i signori Alessandri Guarini, il Segretario di Mons. Ill.mo Cardinale Pio non gli mancarano, restarebbe à far elletione (col parer di signori tali) del poema da reccitare, et chi la dovrà metter in scena, et lasciar a mè la cura di farla riuscir mirabile, et sarebbe bene (dovendosi fare) rissolversi quanto prima, perchè il tempo non ci manchi. Et è meglio far cosa tale per parer mio perchè sò certo, et mi prometto sicuram. che no potrà fare accione che gli arechi maggior ripputazione che una cosa tale, come forse ella conoscerà se vi rumina sopra. Il che però dovendo deppendere dalla volontà di lei starò io attendendo quello che ella comandarà.41 Con che fra tanto augurandole sanità et gratia da Dio di felice prolle, gli faccio humilissimamente la dovuta riverenza.
Di casa questo dì 16 di maggio 1620
Di V.S.Ill.ma
Devotissimo Servitore perpetuo Gio Batt.a Aleotti detto l’Argenta

 

La “Rocca Nuova” di Giovan Battista Aleotti: la Facciata Sud

Il primo progetto di Aleotti,42 databile al primo decennio del ‘600, è quello che più richiama alla mente la soluzione con le torri angolari adottata nel castello della Mesola L’architetto prevede di conservare la struttura originaria dell’ala sud, meno profonda di quella attuale, semplicemente ampliandola con l’aggiunta di una nuova ala, che racchiude un cortile porticato, e di due torri angolari inclinate a 45 gradi.
I progetti successivi mostrano come in seguito questa soluzione debba essere sembrata insufficiente al marchese Giulio Thiene, ed evidenziano la grande espansione che si propone di dare alla rocca soprattutto verso nord, con l’aggiunta di un altro cortile e di una terza torre angolare. Di tutti questi progetti, forzatamente interrotti dalla morte nel 1623 di Ottavio II Thiene, rimane oggi solo la torre di sud-ovest e una parte dell’ala sud, che contiene lo scalone e si affaccia verso le colline.
Ciò che caratterizza questa parte della rocca sono l’estrema sobrietà del linguaggio architettonico e il rigore stilistico, che in parte vengono contraddetti nell’interno. Tuttavia questo è un contrasto ricorrente in molti palazzi emiliani dei secoli XVI e XVII in cui viene accostato un esterno sobrio, quasi povero, ad un interno spazialmente e decorativamente elaborato.
La facciata sud della rocca si presenta scandita da una successione di riquadrature di diverse larghezze, rientranti nel paramento in mattoni, elemento del quale si possono trovare numerosi precedenti, tra i quali la Galleria di Sabbioneta, il palazzo Farnese a Piacenza e il cortile del palazzo della Pilotta a Parma. Questo modo di modulare le superfici ritornerà poi a caratterizzare altre opere di Aleotti, come la palazzina Pareschi e S. Maria del Quartiere a Parma .
Lungo tutto il fronte si dispone, su due piani, una sequenza irregolare di finestre dai frontoni triangolari e curvilinei alternati, che appaiono caratterizzate da una semplice intelaiatura tardo-manierista formata da semplici lesene e fascie marcapiano. Il recente restauro curato da Paolo Scarpellini ha rivelato le tracce di «un intonachino color rosso-cupo, limitatamente ai risalti (lesene e fascie marcapiano), con esclusione cioè delle specchiature di fondo, che ospitavano invece decorazioni pittoriche policrome a motivo geometrico, ad emulazione di tarsie marmoree, composte secondo un disegno formato da quadrati, ovali e rombi».43
La linearità del fronte sud viene spezzata dalla presenza dello scalone, che in questo caso, pur essendo invisibile dall’esterno, diviene una vera e propria “cerniera” tra le due ali preesistenti, che così possono mantenere i loro originali, diversi orientamenti.
Un fregio a metope e triglifi di ordine dorico corre lungo la sommità della facciata e del torrione, e a coronamento di quest’ ultimo è situato il “torresino”, dalla foggia tipicamente aleottiana.44 Simili elementi architettonici, che derivano dall’esempio delle altane del Castello di Ferrara realizzate da Girolamo da Carpi e da Alberto Schiatti, appaiono in molte delle opere ferraresi di Aleotti, come la torretta del palazzo del Paradiso e la sopraelevazione di quella dell’Arengo.
Al centro della facciata si apre l’incompiuto portale di ordine dorico, con larghe lesene binate che inquadrano l’arco a tutto sesto con paramento interamente bugnato. La zona soprastante è incompiuta, con l’ammorsatura predisposta per accogliere l’ordine superiore. Possiamo immaginare quale dovesse essere l’aspetto dell’ingresso progettato da Aleotti esaminando alcuni disegni45 relativi alla Porta Paolina (oggi porta Reno), e alla porta della Cittadella di Ferrara che l’architetto porta come esempio nella relazione al marchese di Scandiano. Questi disegni, datati tra il 1611 e il 1612, appaiono molto simili al portale della rocca e ci permettono di ipotizzare che nella parte superiore di quest’ultimo avrebbe trovato posto, sopra alla prevista “balustrata” in marmo, un grande fregio a rilievo con lo stemma della famiglia Thiene al centro di un elaborato frontone spezzato.
Dal portale si accede ad un ambiente che comunica con il cortile della rocca. Si tratta di un ingresso dall’aspetto neo-quattrocentesco che, probabilmente anche a causa dell’attuale coloritura in bianco e grigio, richiama alla mente architetture di derivazione brunelleschiana. In particolare gli stipiti delle porte, realizzati in gesso dipinto ad imitazione dell’arenaria, disegnati secondo canoni decisamente arcaici, si rifanno ai preesistenti pilastrini delle finestre del cortile. Il confronto tra il primo studio per l’ampliamento della rocca del 1600 e le piante successive, relative al progetto in corso di attuazione, permette di verificare come anche la realizzazione di questo ambiente, che appare in contrasto con gli altri elementi di nuova progettazione, sia da attribuire al poliedrico Giovan Battista Aleotti.

Lo Scalone monumentale

Aleotti propone per il nuovo scalone di Scandiano la forma a chiocciola, legata alla tradizione cinquecentesca e che trova i suoi precedenti nella architettura tosco-romana della fine del ‘400, al quale si accede tramite un ingresso a pianterreno, caratterizzato da due nicchie, una piccola copertura a cupola e una rampa iniziale rettilinea. Al grande scalone si accede oggi dallo stesso portico del cortile mediante una rampa che porta ad un primo e, dopo pochi altri gradini, ad un secondo pianerottolo. Da questo si dipartono, a tenaglia, le due scalinate simmetriche che conducono al piano superiore, configurazione dovuta certamente ad una rielaborazione più tarda, forse avvenuta all’epoca dei Bentivoglio che hanno il dominio di Scandiano dal 1634 al 1643 .
Il grande vano che racchiude lo scalone ha una pianta rigorosamente circolare: la zona superiore delle pareti costituisce un alto tamburo che sorregge la cupola emisferica, a sua volta culminante nella lanterna (ill.7).

Tutta l’ornamentazione architettonica è realizzata con elementi in gesso dipinto ad imitazione del marmo, fatto che, pur considerando il possibile desiderio di economizzare sui materiali che traspare dalla relazione al marchese di Scandiano, conferma l’inclinazione scenografica di Giovan Battista Aleotti anche nelle realizzazioni non espressamente teatrali.
Le pareti del tamburo sono scandite da travate ritmiche che definiscono otto arcate inquadrate da coppie di colonne ioniche addossate (ill.8). Tra ciascuna coppia di colonne, caratterizzate dagli stilobati particolarmente alti e capitelli con echino liscio e volute ruotate di 45° alla maniera ionico-greca, sono inserite due nicchie sovrapposte. Queste ultime sembrano essere elementi caratteristici dell’architettura di Aleotti e una delle cifre compositive più riconoscibili dei suoi progetti. Le si può infatti osservare nell’arcoscenico del Teatro degli Intrepidi a Ferrara, in quello del Teatro Farnese a Parma, progetto che precede di pochi anni quello per Scandiano, e in un disegno relativo ad un padiglione per i giardini ducali della Castellina a Ferrara.46
Risulta quindi evidentissima la corrispondenza stilistica tra la progettazione di Scandiano e molte opere seicentesche di Aleotti, ma il confronto più significativo, per la sostanziale somiglianza della quasi totalità degli elementi compositivi, è quello che si può effettuare con la la chiesa di S. Carlo a Ferrara. Infatti la travata ritmica che circonda lo scalone riproduce e moltiplica la parte inferiore della facciata della chiesa ferrarese, dove ritroviamo anche la chiave dell’arco che si aggancia ai listelli della cornice e le colonne ioniche con capitello di tipo greco (con le volute inclinate e il fiore d’acanto) che racchiudono le piccole nicchie. Le stesse edicole dello scalone appaiono come repliche del portale della chiesa di S Carlo, con i capitelli ionici di tipo romano (dalle volute piatte) e lo stemma racchiuso all’interno del frontone spezzato.


All’interno delle edicole si trovano le grandi statue in cotto che rappresentano personaggi della famiglia Thiene. Nelle raffigurazioni araldiche che compaiono sui pendagli delle tuniche, sono infatti visibili l’aquila e il giglio, simboli che caratterizzano lo stemma di questa famiglia, legata alla casa d’Este e quindi all’impero.
Tutta l’architettura di questo ambiente è caratterizzata da una elaborata sovrapposizione di elementi usati come in un collage di stili eterogenei, una specie di “ars combinatoria” che conferma la tendenza compositiva di questo periodo in cui la “regola” degli ordini è divenuta emendabile da ogni singolo architetto. Aleotti sceglie per lo scalone di Scandiano l’ordine ionico, quello che più si addice, secondo Serlio «a quei santi la vita dei quali sia stata tra il robusto e il tenero (...) et se alcuno edificio, o pubblico o privato si haverà a fare ad huomini letterati e di vita quieta, non robusti, né anco teneri, si converrà loro quest’ordine jonico».47 Quello che Aleotti mette in opera nello scalone risulta però essere una combinazione tra i vari “ionici” così come sono prospettati dai grandi trattatisti. Da Serlio e Vignola riprende infatti le colonne liscie e i dentelli, da Scamozzi le volute inclinate e il fiore d’abaco, da Palladio il fregio pulvinato.
Sembra quindi che l’architetto utilizzi una serie di moduli che “rimontati” in vario modo possono dare forma a tutte le composizioni architettoniche che servono, a seconda del tema che si trova ad affrontare; una idea manieristica del progettare che deriva dai trattati di Serlio e di Palladio, che del primo assimilerà motivi e stili. Serlio non appare infatti un umanista che concepisce l’architettura come dottrina delle fonti classiche ma piuttosto come un divulgatore di forme antiche e moderne, lontano da ogni intellettualismo.
Nonostante i richiami ad un severo classicismo in parte filtrato dalle esperienze tardo-manieristiche, lo scalone di Aleotti è già concettualmente barocco, caratterizzandosi come un elemento “a parte” rispetto al resto dell’edificio, nel quale non si ritrovano gli stessi stilemi applicati in questo ambiente. Non nella facciata sud, dalla rigorosa economia compositiva, non nell’ampio atrio di stile neo-quattrocentesco che, attraverso il portale, conduce nel cortile e tanto meno nel semplice ingresso che dal cortile conduce allo scalone. Aleotti sente il barocco più in questa dilatazione degli elementi dello scalone, nel ruolo puramente scenografico e compositivo, non statico, dell’architettura che diventa protagonista assieme alla scultura, ad essa perfettamente armonizzata.

Dai Thiene ai Bentivoglio

Si è detto che i lavori alla fabbrica della Rocca si interrompono bruscamente nel 1623 con la morte di Ottavio II Thiene e proseguono poi a rilento negli anni successivi sotto il controllo della Camera Ducale Estense. Verranno ripresi in parte solo nel 1634 dopo l’insediamento del nuovo feudatario Enzo Bentivoglio, che arriva a Scandiano dopo aver governato Gualtieri. Quel feudo, territorio paludoso e malsano, viene assegnato nel 1567 dal duca Alfonso II a Cornelio Bentivoglio, che si impegna a bonificarlo e a renderlo degno di un importante casato. I Bentivoglio si avvalgono in moltissimi casi dell’intervento di Giovanni Battista Aleotti, e sotto la sua supervisione vengono prosciugati i terreni paludosi e si inizia la costruzione del Palazzo Bentivoglio e della prospicente grande piazza porticata.48 Molte lettere di Aleotti, indirizzate al marchese Bentivoglio, fanno riferimento ai lavori in corso a Gualtieri: l’edificazione della torre, della piazza porticata e della chiesa, oltre all’ampliamento del palazzo.49
Nel 1608 Enzo Bentivoglio, figlio di Cornelio, propone di bonificare le valli e i terreni ferraresi tra il Po e il Tartaro, fino ai confini veronesi e mantovani, completamente a proprie spese, ma con la promessa di ottenere in seguito la metà dei terreni prosciugati e di quelli che prima della bonifica erano soggetti a inondazioni.50 Nel 1610 papa Paolo V gli concede parte del Monte Sisto, e la facoltà di vendere “azioni” per raccogliere fondi da impiegare nella bonifica. I lavori però richiedono enormi capitali, tanto che ancora nel 1632 papa Urbano VIII concede a Bentivoglio di erigere un nuovo Monte, che viene detto “Monte Bentivoglio”.51
Tutti questi incessanti lavori di bonifica, assieme all’edificazione di palazzi e chiese a Ferrara e a Gualtieri, dissanguano le finanze di Enzo Bentivoglio, tanto che si arriva nel 1630 addirittura alla confisca dei suoi beni a Roma.52 Nel 1634, vengono presi accordi per lo scambio tra il feudo di Gualtieri e quello di Scandiano, soluzione che accorda un po’ di respiro finanziario a Enzo Bentivoglio oberato dai debiti.


I progetti per Palazzo Bentivoglio a Ferrara

In un saggio pubblicato nel volume “L’impresa di Alfonso II”53 si ipotizza che la facciata di Palazzo Bentivoglio a Ferrara, compiuta tra il 1583 e il 1585, sia stata ideata da Pirro Ligorio e solamente portata a termine da Giovan Battista Aleotti, partendo da un grandioso progetto di ampliamento dell'intero palazzo che viene attribuito a Ligorio, progetto documentato da due disegni (ill. 9 e 10) conservati presso l’Archivio di Stato di Ferrara.54
Secondo questa ipotesi Ligorio avrebbe realizzato i due progetti per Palazzo Bentivoglio intorno al 1574, al tempo delle aspirazioni regali di Alfonso II d’Este, che nutriva speranze di succedere ad Enrico III sul trono di Polonia. Ligorio avrebbe redatto un primo imponente progetto, ma successivamente, una volta svaniti i sogni del duca, lo stesso architetto ne avrebbe elaborato una versione semplificata. Nel 1583, alla morte di Ligorio il proseguimento dell’opera già progettata sarebbe stato affidato al giovane Aleotti.


Sappiamo di contatti tra i due architetti, documentati da disegni di Ligorio conservati da Aleotti all’interno di una copia del trattato del Vignola Regola delli cinque ordini di Architettura, e da alcuni disegni di Aleotti ai quali è allegato un manoscritto di Ligorio, conservati presso la Bodleian Library di Oxford.55 Inoltre non si può fare a meno di notare, concordemente con Coffin, la stretta rassomiglianza tra certi elementi della facciata di Palazzo Bentivoglio, completata nel 1585, con quelli visibili in molti disegni di Aleotti, tra cui il il progetto per la tomba di Cornelio Bentivoglio, morto nello stesso anno, e quelli per la porta della Fortezza di Ferrara, in particolare le panoplie a rilievo, i timpani spezzati a volute e il portale. Aleotti potrebbe quindi essersi rifatto per queste progettazioni allo stile dell’architetto napoletano da lui conosciuto e studiato. Coffin rileva però la solo apparente somiglianza tra l’architettura di Ligorio, delicata e quasi femminea, e quella realizzata nel Palazzo Bentivoglio, che, anche se molto ornato «è fiero e quasi maschio nel suo stile», comprendendo inoltre elementi completamente estranei a Ligorio come i frontoni spezzati del piano nobile e del portale principale, l’insolita parte superiore delle finestre del piano terra e il bugnato sopra gli ordini del portale.56
Anche per altri e diversi aspetti però appaiono poco attendibili la datazione e l’attribuzione a Pirro Ligorio di quelli che vengono definiti progetti iniziali, che sarebbero stati elaborati prima del 1574. Le grandi scale rappresentate nei due disegni, soprattutto quella con doppia rampa a tenglia, sembrano infatti ispirate al grande scalone del monastero di San Lorenzo dell’Escorial, vicino a Madrid, terminato nel 1583. Quello fu il modello di tanti scaloni successivi, non ultimo quello edificato intorno al 1610 nel palazzo della Pilotta a Parma, un edificio ben conosciuto e frequentato da Giovan Battista Aleotti, progettista del Teatro Farnese, e da Enzo Bentivoglio che prende in mano la direzione dei lavori dopo l’improvviso abbandono dell’Argenta nel 1619. Non si comprende infine perchè Alfonso II avrebbe dovuto trasformare nel proprio “palazzo reale” un edificio che apparteneva ai Bentivoglio, situato in una posizione piuttosto infelice, in una via stretta e chiuso tra altri edifici.

Il confronto dei progetti per Scandiano con quelli per palazzo Bentivoglio, ci permette di attribuire (anche in base alla evidente corrispondenza stlistica e calligrafica) pure questi ultimi a Giovan Battista Aleotti.
Sia a Scandiano che a Ferrara viene proposta, in versioni successive e differenti, una vastissima espansione dell’edificio preesistente che oggi appare sovradimensionata rispetto all’importanza e al potere del committente. L’ampliamento dovrebbe avvenire con l’aggiunta di nuovi corpi di fabbrica a impianto quadrangolare che racchiudono due ampi cortili porticati e un grande scalone, disegnato di volta in volta in forme diverse. È però soprattutto evidente l’identità tra lo scalone circolare con doppia rampa a tenaglia progettato per il palazzo Bentivoglio (ill. 9), che si espande in un ulteriore doppio scalone a base quadrata, con quello successivamente realizzato a Scandiano.
É probabile quindi che i due disegni per l’ampliamento di Palazzo Bentivoglio siano stati realizzati da G.B. Aleotti in un periodo posteriore all’edificazione della facciata, tra la fine del ‘500 e il primo decennio del secolo successivo, quindi contemporaneamente alla progettazione della Rocca di Scandiano per il marchese Giulio Thiene. A quest’epoca risalgono infatti anche i grandi progetti imprenditoriali e finanziari di Enzo Bentivoglio, che in seguito devono essere ridimensionati in modo drastico a causa delle sopravvenute difficoltà. Si può ipotizzare quindi che l’ampliamento del palazzo Bentivoglio, ideato e progettato in un’epoca di grandi prospettive economiche, sia stato forzatamente interrotto dai gravi dissesti finanziari subiti dalla famiglia, dissesti tanto gravi da costringere Enzo Bentivoglio ad accettare lo scambio proposto dalla casa d'Este, il passaggio dal feudo di Gualtieri a quello di Scandiano.

La Rocca di Scandiano è nel 1634, all’arrivo dei Bentivoglio, una specie di cantiere aperto; se i lavori allo scalone sono in parte proseguiti anche dopo il 1623 con l’intervento della Camera Ducale,57 la facciata sud e la nuova ala est sono state invece interrotte alla morte dell’ultimo marchese Thiene. Gli inventari della Rocca conservati a Ferrara nell’Archivio Bentivoglio58 permettono di affermare che il nuovo marchese fa eseguire nell’edificio molti lavori, come la suddivisione in tre ambienti della vasta “sala vecchia” e la realizzazione di una Cappella. Inoltre le camere immediatamente adiacenti allo scalone non vengono censite nel primo inventario dei Bentivoglio del 1634, fatto che ci induce a ipotizzare una loro parziale inagibilità a causa dei lavori in quella parte dell’edificio.
È molto probabile quindi che Bentivoglio abbia “trasferito” nella ristrutturazione di Scandiano alcuni particolari del precedente progetto aleottiano per il palazzo di Ferrara. Una strettissima rassomiglianza è infatti evidente tra l’attuale aspetto dello scalone di Scandiano e quello rappresentato in un progetto per Palazzo Bentivoglio: un grande ambiente circolare con doppia rampa di scale a tenaglia.
Il motivo che può aver reso necessaria la ricostruzione in forma diversa dello scalone di Scandiano da parte di Enzo Bentivoglio, è la necessità di rendere più agevole l’ingresso all’ala ovest della Rocca, l’unica parte del palazzo terminata e abitabile. Lo scalone dei Thiene, realizzato da Aleotti in forma a chiocciola condiceva infatti al grandissimo, e ancora non praticabile, “salone nuovo” e alla incompiuta ala est. Il nuovo scalone voluto da Enzo Bentivoglio conduce invece direttamente alla galleria che diventa così il nuovo ingresso al piano nobile della Rocca.

Anche questa volta però l’edificazione della “Rocca Nuova”, così come l’ampliamento del palazzo di Ferrara, non possono essere portate a termine: Enzo Bentivoglio muore infatti a Roma nel 1639, lasciando gli eredi alle prese con gli interminabili lavori edilizi e di bonifica, e in cattive condizioni finanziarie, tanto che il successore di Enzo, Cornelio II, decide di appianare i debiti rivendendo il feudo di Scandiano alla Casa d’Este per la somma di 74.617 scudi.59


NOTE

1 Diego Cuoghi, La Rocca di Scandiano nei progetti di G.B. Aleotti, Tesi di laurea in Architettura, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 1991-1992. Il testo completo della tesi è consultabile in internet all’indirizzo: http://www.diegocuoghi.it/scandiano/

2 A.M. Matteucci, Originalità, diffusione e durata di un linguaggio, in: Vincenzo Vandelli (a cura di), Architetture a Mirandola e nella bassa modenese, Modena, 1989, p. 12.

3 Non bisogna dimenticare che i Thiene alla metà del ‘500, all’epoca di Marcantonio e del figlio Ottavio (futuro conte di Scandiano), sono impegnati nella edificazione di imponenti palazzi e ville, la cui realizzazione affidano ad Andrea Palladio. Ricordiamo soprattutto il Palazzo Thiene a Vicenza e l’incompiuta Villa Thiene a Quinto Vicentino, i cui lavori sembra siano stati in parte seguiti proprio dal giovane Ottavio (L. Puppi, Andrea Palladio, Opera completa, Milano, 1973, p. 107. - H. Burns, La villa Thiene di Quinto, in Giulio Romano, Milano, 1989, p.507).

4 La voce relativa a Giulio da Thiene nel volume XXXIII del Allgemeines Lexicon der Bilden den Kunstler di Thieme e Becker, infatti lo definisce «Architetto, matematico, autore di trattati sulle fortificazioni, 1551 Urbino, 1619 Vicenza. Colonnello del Re di Spagna, Luogotenente Generale e ambasciatore del duca di Urbino presso la Repubblica di Venezia. Il fratello Filippo fu un architetto militare.» (L. Servolini, Giulio da Thiene, in: U.Thieme-F.Becker, Allgemeines Lexicon der Bilden den Kunstler, Liepzig, 1939, vol. XXXIII, p. 30-31). Le date di nascita e morte sono certamente sbagliate, se attribuite a Giulio da Thiene; difficilmente infatti egli avrebbe potuto partecipare, come documentano molte lettere, alla guerra nel 1557 se fosse nato solo sei anni prima., e si riferiscono quindi al marchese di Scandiano, Giulio Thiene. Quest’ultimo muore infatti nel 1619 per le conseguenze di un incidente con la carrozza nei pressi di Scandiano (A.S.Mo. Cancelleria Ducale, Particolari, busta 1384, 3 sett. 1619).

5 Che i lavori progettati dai Thiene a Scandiano fossero di notevole entità e di peso per la popolazione è documentato da una pergamena del 1624. In questo documento la comunità scandianese, rappresentata da Andrea Codeboni, dopo la morte dell’ultimo Thiene nel 1623 rivolge una supplica al duca Cesare chiedendo che vengano modificate le nuove leggi introdotte a Scandiano da questi feudatari. Gli scandianesi lamentano infatti che «le fabbriche a Scandiano del Sig. Marchese Giulio Tieni erano così infinite che alla communità tutte pajino impossibili a perfecionarsi per la debolezza dei sudditi che venivano forzati con strane maniere a prestar opere e carriaggi anco che queste tendessero solamente a voluptà sensuale. Et però esse ricorrono a supplicar V.A. Ser.ma voglia restar servita di dichiarar i sforzi sontro le suddette coità fatte per dette fabriche nulle et ordinar assolutamente che per l’avenire sia riconosciuta la divozione dei sudditi dichiarandoli obbligati solamente alla riparazione di castello et non altrimente.» (A.S.Mo. Rettori dello Stato, Reggiano, Scandiano, Busta 12, 1 agosto 1624.).

6 A.S.Mo. Cancelleria Ducale, Particolari, busta 1384, 3 settembre 1619.

7 A.S.RE., Arch. Notarile Ippolito Bertolotti, b. 3529, 1620.

8 M.A. Guarini, Compendio Historico delle Chiese di Ferrara, Ferrara, 1621, p. 307.

9 La presenza di questi disegni all’interno della Raccolta Aleotti mi è stata segnalata nel 1986 da Vincenzo Vandelli, Nel 1987 gli stessi progetti sono citati da H.Van Bergejik nel saggio intitolato La prima metà del ‘600: dal Castello al Palazzo, in Il Palazzo Ducale di Modena.

10 Biblioteca Ariostea, Ferrara, Raccolta Aleotti, H5, n° 160.

11 A.S.Mo. Archivi per materie, Ingegneri, busta n° 1, Aleotti.

12 L. Chiappini, I Bentivoglio dopo Bologna, in: Cecilia Ady, I Bentivoglio, Milano, 1965, p. 285.

13 A.S.Mo. Archivi per materie, Ingegneri, busta n° 1, Aleotti, 19 dicembre 1599.

14 Alcuni lavori sono certamente già avviati alla fine del ‘500, infatti da una lettera scritta nel 1610 da un intendente dei Thiene si apprende che «sono circa dodici anni che il Marchese di Scandiano condusse per capomastro delle sue fabbriche nel dº luogo M.r Gio. Marco Baccarelli il quale obbligò per cinque anni continui la persona sua et insieme quella di suo fratello murator anch’esso per il salario di quindici scudi il mese» (A.S.Mo., Cancelleria Ducale, Particolari, busta 1382, 18 marzo 1610).

15 A.M.Matteucci, Originalità, diffusione ..., cit., p. 12.

16 Biblioteca Ariostea, Ferrara, Raccolta Aleotti, H5, n° 161.

17 A.S.RE., Arch. Notarile Ippolito Bertolotti, b. 3529, 1620.

18 A.S.Mo., Mappe e Disegni, Grandi Mappe, n° 162, Pianta ultima della Rocca di Scandiano, cm. 79 x 81, s.d.

19 A.S.Mo., Mappe e Disegni, Topografie di città, n° 40, Pianta della Rocca di Scandiano, Progetto.

20 A.S.Mo., Mappe e Disegni, n° 161, Pianta di Scandiano (cm. 180 x 84), s.d.

21 A.S.Mo., Mappe e Disegni, Grandi mappe, n°107, Pianta parziale della Rocca di Scandiano, cm. 144x76, s.d.

22 A.S.Mo. Fabbriche e Villeggiature, Busta n°69. Una copia è conservata anche in : Archivi per materie, Arti Belle, Ingegneri, Busta n°5, Vacchi.

23 A.S.RE., Archivio Marchelli, n° 1784-87.

24 A.S.Mo. Fabbriche e Villeggiature, busta n° 69.

25 A.S.Mo. Cancelleria Ducale, Particolari, busta 184.

26 G.B. Venturi così le descrive lo scalone in un suo manoscritto dei primi anni dell ‘800: «fra le colonne di ciascun paio sono una sopra l’altra due nicchie, vi erano statue di marmo trasportate a Sassuolo coi marmi dei gradini» (B.M.P.RE, Ms. regg. A 53, G. Venturi, Scandiano).

27 A.S.Mo. Camera Ducale, Cassa Segreta, n° 3763.

28 A.S.Mo., Rettori dello Stato, Reggiano, Scandiano, busta 12, s.d.

29 A.S.Fe., Periti, Mappe, cartella L, piante n° 14 e 15.
Si tratta di due diversi progetti per l’ampliamento di Palazzo Bentivoglio attribuiti a Pirro Ligorio (G.Marcolin-G.Marcon, Il Palazzo Bentivoglio e gli architetti ferraresi del secondo cinquecento, in L’impresa di Alfonso II, Bologna, 1987). Un confronto con documenti autografi di Aleotti permette invece di verificare la perfetta corrispondenza della calligrafia, la stessa che è presente nei progetti per Scandiano.

30 A.S.Mo. Archivi per Materie, Ingegneri, busta 1, Aleotti.

31 G. Campori, Artisti italiani e stranieri negli stati estensi, Modena, 1855, p. 197

32 V. Camerini, Giovan Battista Aleotti detto “L’Argenta”, fra Cinquecento e Seicento, in Aspetti di storia civile e culturale della comunità argentana, Atti del convegno, Argenta, 1979.

33 A. R. Remondini, M. Rossi, Appunti per una biografia di Alberto Penna, in Alberto Penna - Atlante del ferrarese, Modena, 1991, p. 32.

34 Archivio Storico del Consorzio delle Bonifiche, Ferrara; Conservatoria della Bonificazione, Miscellanea in materia d’acque Ferraresi; Alberto Penna, Scritture d’acque Ferraresi, Vol. III : Giovan Battista Aleotti, Relacione al S.r Marchese di Scandiano, 16 maggio 1620, pagg. 428-433.

35 Il ponte oggi esistente «sembrerebbe successivo al portale, in quanto i parapetti interferiscono con il fusto delle lesene» (P. Scarpellini, Restauri nella Rocca di Scandiano, Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici dell’Emilia, Bologna, 1990, p. 14.) e dalle tracce ancora evidenti risulta aver sostituito quello originale realizzato da Aleotti.

36 L’ingresso originale che conduceva alla rampa di accesso allo scalone presenta infatti due nicchie che probabilmente in origine erano ornate da statue

37 Probabilmente la località oggi chiamata Veggia, che si affaccia sul fiume Secchia, sulla strada per Sassuolo.

38 Si tratta dell’asse principale del paese, dove si trova la chiesa di San Giuseppe, ma l’informazione più preziosa che ci viene da questo documento è la conferma dell’avvenuta realizzazione dei grandissimo edificio contenente le stalle, già visibile nel primo progetto di Aleotti per Scandiano.

39 Scorrendo questa descrizione delle idee di Aleotti per Scandiano non si può fare a meno di visualizzare il grande progetto riprodotto nella figura n°9. É questo certamente il disegno che Aleotti invia al marchese Thiene nel 1620, tutti gli elementi evidenziati dal progetto sono infatti descritti nella relazione: gli argini di protezione contro le inondazioni del Tresinaro, la piazza vecchia e la via delle pioppe, la via di San Gioseffo e le grandi stalle, le nuove fosse per il castello, una grande piazza ad est, attorno alla quale si dispongono nuovi quartieri e strade.

40 Una naumachia era prevista anche in occasione della inaugurazione del Teatro Farnese di Parma, prevista nel 1618 per celebrare la visita, poi non avvenuta, del granduca di toscana Cosimo II. Lo spettacolo ideato da Aleotti e Pozzo, dal titolo La difesa di Bellezza, comprendeva infatti «l’allagamento del teatro per realizzare la naumachia con intervento di orche marine ed il conclusivo balletto a cavallo» (A. Cavicchi, op.cit, p.20).

41 Non sappiamo quali azioni sceniche Aleotti sia riuscito a realizzare a Scandiano. Le poche notizie relative all’avvenimento registrate da testimoni dell’epoca e riportate da Morsiani nella sua Cronaca riferiscono solamente che «in piazza vi era un castello che bruciava», «vi era una girandola con molti raggi e fuochi artificiali, oltre a molte artiglierie e mortaletti», e che nei giorni seguenti, oltre a banchetti, concerti e spettacoli musicali si tiene una «mostra nelle strade della Corapina, dove era un Palio eminente per detti Signori Marchese e Marchesa» e «una bellissima festa con mascherate». Difficilmente un avvenimento straordinario per Scandiano come una battaglia navale nel cortile della rocca sarebbe passato sotto silenzio; possiamo così immaginare che, forse per la scarsa disponibilità economica che già Aleotti dimostra di temere, il marchese Ottavio II abbia deciso di offrire agli invitati festeggiamenti meno dispendiosi.

42 Biblioteca Ariostea, Ferrara, Raccolta Aleotti, H5, n° 160, Pianta della Rocca di Scandiano.

43 P. Scarpellini, op.cit., p. 14.

44 V. Camerini,op.cit.

45 Biblioteca Ariostea, Ferrara, Ms, Classe I, n° 217.

46 Archivio Comunale di Argenta, Raccolta Aleotti.

47 S. Serlio, Quinto libro dell’Architettura, Venezia, 1551, cap. VII, (ed. consult. Architettura di Sebastian Serlio Bolognese, in sei libri divisa, Venezia, 1563).

48 A. Frabetti, L’Aleotti e i Bentivoglio, in “Il Carrobbio”, n° 9, 1983.

49 A.S.Mo., Archivi per Materie, Ingegneri, Busta n. 1, Aleotti,

50 F. Cazzola, Bonifiche e investimenti fondiari, in Storia dell’Emilia Romagna, Bologna, 1980, p. 224, 225.

51 T. Ascari, Enzo Bentivoglio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, 1966, p.611.

52 A.S.Fe. Archivio Bentivoglio, lib. 124, n°3.

53 G. Marcolin - G. Marcon, Il palazzo Bentivoglio e gli architetti ferraresi del secondo Cinquecento, in L’impresa di Alfonso II, a cura di J. Bentini e L. Spezzaferro, Bologna, 1987.

54 Archivio di Stato, Ferrara, Periti, Mappe, cartella L, piante n° 14 e 15.

55 D.R. Coffin, op.cit., p.116.

56 Ibidem p.121-122

57 A.S.Mo. Fabbriche e Villeggiature, busta 69.

58 A.S.Fe. - Archivio Bentivoglio - Patrimoniale - Lib. 130-1

59 J. Southorn, op.cit., p. 93.


Altri studi di Diego Cuoghi su Scandiano: www.diegocuoghi.it/scandiano